Capire la Riforma #2 – Titolo V

La revisione del Titolo V della parte II della Costituzione (artt. 114 e ss.) riveste un ruolo di fondamentale importanza nel quadro della riforma oggetto del referendum costituzionale del 4 dicembre prossimo. Cerchiamo di approfondirne gli aspetti essenziali.

Il nuovo testo costituzionale riscrive buona parte dell’articolo 117 Cost., disposizione che disciplina il riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni.

È opportuno rammentare che tale disposizione, a sua volta, aveva costituito oggetto di un’altra riforma costituzionale [L. Cost. n. 3 del 2001] dominata dal mito del federalismo, e che pertanto si proponeva di chiudere un primo periodo di storia repubblicana in cui le materie di competenza esclusiva regionale erano indicate in via tassativa.

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L’art. 117 Cost. attualmente vigente è proprio il frutto della riforma del 2001 e può essere schematizzato in questo modo: al comma II troviamo un’enumerazione tassativa delle materie in cui lo Stato ha potestà legislativa esclusiva; al comma III sono previste una serie di materie in cui è previsto un potere normativo concorrente tra Stato e Regioni, che comporta che lo Stato individui i principi per queste materie e all’interno di questi “paletti” si muove poi il legislatore regionale con la sua discrezionalità; al comma IV si stabiliscono le competenze regionali, di tipo cd residuale, ossia le Regioni hanno competenza assoluta in “ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato” e ovviamente che non sia nemmeno di tipo cd concorrente.

La ripartizione delle competenze prevista dall’attuale art. 117 Cost. – scrive il Servizio Studi della Camera – pur delineata in modo piuttosto rigido, ha dato luogo a sovrapposizioni che spesso hanno richiesto l’intervento della Corte Costituzionale. Non è un caso se, proprio a seguito della riforma del 2001, le controversie instaurate di fronte a tale Corte e relative al riparto di competenze tra Stato e Regione siano raddoppiate. Ciò che veniva (e viene tuttora) chiesto alla Corte costituzionale è di risolvere i conflitti insorti tra Stato e Regione in merito alla distinzione tra legislazione di principio e legislazione di dettaglio relativamente alle competenze concorrenti, dove ovviamente lo Stato chiede che gli siano riconosciuti più ampi margini di manovra e le Regioni che sia tutelata la loro autonomia.

A tal proposito è stata la stessa Corte ad affermare che «la nozione di principio fondamentale non può essere cristallizzata in una formula valida in ogni circostanza, ma deve tenere conto del contesto, del momento congiunturale in relazione ai quali l’accertamento va compiuto e della peculiarità della materia». La Corte ha inoltre sottolineato la legittimità di disposizioni di dettaglio da parte dello Stato in “rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione” con le norme di principio. In varie circostanze la Corte costituzionale ha riservato alcune attuali competenze concorrenti alla legislazione dello Stato “per ragioni di esercizio unitario”, sulla base del principio di sussidiarietà verticale sancito all’art. 118 Cost., che permette allo Stato di intervenire, a discapito delle Regioni, nei casi in cui ciò sia dettato da esigenze contingenti di avere un’unitaria disciplina per l’intera Repubblica italiana [sentenze Corte costituzionale 303/2003; 307/2003; 376/2003; 6/2004].

In molti passaggi delle sentenze emerge infatti come la Corte abbia utilizzato il principio di sussidiarietà quale chiave per aprire un varco nell’apparente tassatività dell’art. 117 Cost., atteggiamento questo che risulta particolarmente interessante se si considera che si tratta di un’esigenza avvertita sin dal 2003, a meno di due anni da quella riforma costituzionale che si proponeva di garantire alle regioni una sfera di competenza più ampia.

Alla luce di quanto detto risulta evidente come la revisione del titolo V ad opera del DDL Boschi recepisca indirizzi già in atto e avallati dalla Corte costituzionale la quale, nel tracciare i confini tra i diversi livelli di governo, ha ridefinito i confini tra i poteri di Stato e Regioni, sacrificando spesso queste ultime.

Con questo secondo intervento riformatore, infatti, si prospetta un ampliamento delle materie di competenza esclusiva dello Stato, l’eliminazione della competenza concorrente tra Stato e Regioni e l’individuazione esplicita delle materie di competenza legislativa regionale.

Venendo ad un’analisi del testo, vediamo che l’unica modifica apportata al comma I consiste nella sostituzione del termine “comunitario” con quello “dell’Unione europea”, nomenclatura questa già richiesta dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (2009), con il quale non si parla più di Comunità europea bensì di Unione europea. Inoltre occorre ridimensionare la apparente portata della norma: non è infatti in forza di questa norma che lo Stato si vincola all’attuazione delle politiche dettate a livello europeo, quanto piuttosto in forza dell’art. 11 Cost, secondo il quale l’Italia consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni.

Proseguendo con un’analisi delle modifiche più sostanziali, ci imbattiamo nell’ ELIMINAZIONE DELLE COMPETENZE CONCORRENTI. Con riferimento a tali materie, attualmente spetta allo Stato la legislazione cd. di principio, mentre la legislazione cd. di dettaglio è demandata alle Regioni.

La riforma prevede che molte delle attuali competenze concorrenti vengano trasferite alla COMPETENZA ESCLUSIVA DELLO STATO. Tra queste ricordiamo: coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; tutela della salute; sicurezza alimentare; previdenza sociale, ivi compresa la previdenza complementare e integrativa; tutela e sicurezza del lavoro; politiche attive del lavoro; istruzione; commercio con l’estero; governo del territorio e protezione civile; politiche energetiche; grandi reti di trasporto e di navigazione; porti e aeroporti civili.

Preme a chi scrive sottolineare come, pure in tal senso, l’intervento del legislatore sia, più che innovativo, meramente ricettivo di una prassi già in nuce da diversi anni che, come si può riscontrare dalle sopra citate sentenze della Corte Costituzionale, ha consentito allo Stato di arrogarsi ex facto una competenza legislativa, pure nelle materie di competenza concorrente, che si estendeva ben oltre quelli che erano i soli principi. Un esempio renderà l’affermazione più chiara: la materia “salute e sicurezza sul lavoro” è regolata ormai da quasi un decennio dal D.Lgs. 81/2008, il quale si compone di 306 articoli, 51 allegati a cui si aggiungono le disposizioni attuative, tutte di produzione ministeriale; risulta quantomeno curioso che una tale vastità di disposizioni legislative possa essere effettivamente considerata solo “di principio”.

Vengono poi attribuite alla competenza esclusiva dello Stato anche alcune materie che attualmente sono di competenza residuale regionale, come politiche sociali e turismo.

D’altro canto, la riforma elenca una serie di materie da attribuire alla COMPETENZA ESCLUSIVA REGIONALE, quali: rappresentanza delle minoranze linguistiche; programmazione ed organizzazione dell’erogazione dei servizi ai cittadini e al territorio (si pensi alle “reti” di strutture sanitarie e sociali, alla declinazione regionale delle infrastrutture); promozione dello sviluppo economico locale; organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese; promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici.

Tuttavia occorre sottolineare come anche nella nuova formulazione della disposizione venga mantenuta la clausola di chiusura in base alla quale spetta alle Regioni legiferare “in ogni materia non espressamente riservata alla competenza esclusiva dello Stato”.

Il DDL Boschi introduce altresì, e questa è la vera innovazione, la cd. CLAUSOLA DI SUPREMAZIA, in base alla quale su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva “quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. In tali procedimenti il nuovo Senato delle autonomie vedrà rafforzato il suo ruolo.

Con riferimento all’art. 116 Cost., la riforma prevede che ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia – limitatamente a determinate materie ivi tassativamente elencate – potranno essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario a patto che la Regione si trovi in una condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio.

Le modifiche al Titolo V, invece, non si applicheranno alle Regioni a statuto speciale e alle province autonome fino a quando non ci sarà una revisione dei rispettivi statuti, fatta sulla base di intese che dovranno essere raggiunte con lo Stato. Una volta raggiunta l’intesa, i suoi contenuti saranno inseriti in Costituzione con una legge apposita.

A cura di Rebecca Santoro ed Emma Benini

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