Mostro d’acciaio e complesso industriale fonte di occupazione e di profitto. Il polo siderurgico di Taranto rappresenta davvero queste due facce dell’imprenditoria “non sostenibile”? Occorre forse prendere le distanze dalle generali e ipercritiche storie propinate dai media, per approfondire un discorso che nelle premesse già coinvolge temi ed esigenze forti? Sarebbe certamente inesatto affermare che l’acciaieria più grande d’Europa non rappresenti una seria questione d’impatto ambientale per l’attigua città di Taranto e, più in generale, per il territorio circostante, ma sarebbe parimenti miope ignorare che essa rappresenta uno degli stabilimenti industriali più importanti d’Italia e non solo, luogo di lavoro per molti italiani e grossa fonte di guadagno per l’intero paese.
In Collegio abbiamo avuto la possibilità di approfondire il discorso e di far chiarezza su questi interrogativi. Enrico Laghi, attraverso la sua personale esperienza come Commissario straordinario delle procedure di amministrazione di Ilva, ha posto l’accento su quella che a suo avviso rappresenta la principale difficoltà nell’attività di gestione dell’azienda, vale a dire l’esigenza di conciliare tre diritti fondamentali che riguardano la persona: il diritto alla salute, il diritto al lavoro e la tutela dell’ambiente. Su quest’ultimo aspetto Maria Chiara Zanetti, Professore ordinario di Ingegneria ambientale del Politecnico di Torino, ha fatto luce sui traguardi già raggiunti in materia di sostenibilità ambientale e su quanto ancora è demandato agli acquirenti: ad oggi, Ilva rispetta i livelli delle emissioni atmosferiche consentite, ma alcuni progetti ambiziosi di prossima realizzazione sull’impianto detteranno nuovi parametri europei in termini di riduzione dell’impatto ambientale delle imprese. Da ultimo Nicola Nicoletti, consulente della struttura commissariale di Ilva, aprendo al dibattito del pubblico, ha affrontato una questione che si pone come diretta conseguenza delle suddette problematiche, vale a dire il rapporto fra la fabbrica e la popolazione tarantina. Anche in questo caso l’opinione di chi vede dall’esterno le vicende di Taranto rischia di essere frutto di un’informazione incompleta e pretestuosa, che passa attraverso le immagini di cortei di lavoratori, manifestazioni di protesta, appelli della popolazione e delle stesse istituzioni, ma che finisce per rappresentare solo parzialmente l’attuale situazione di convivenza delle due realtà. La fabbrica sconta senza dubbio gli effetti di una lacerazione nel rapporto con la popolazione, fino a qualche tempo fa ignara della reale portata degli effetti di un vicino di casa così ingombrante. D’altra parte, si tratta di una comunità da sempre grata alla fabbrica, che occupa gran parte dei suoi cittadini da generazioni, e per questo disposta a una pacifica risoluzione delle controversie. Tale soluzione non può reggersi, però, su deboli promesse, ma su un fattuale impegno nella “bonifica” dell’area e su un immediato ripristino delle garanzie lavorative che sono alla base del sodalizio con Ilva. In altre parole, che la rottura possa ricongiungersi esclusivamente sulla base di una corretta informazione sull’attività che giornalmente si realizza “dietro le quinte” appare riduttivo, occorrendo piuttosto risultati tangibili che siano in grado di restituire alla popolazione uno stile di vita più sereno da tutti i punti di vista.
La complessità delle questioni coinvolte e le tempistiche necessarie alla loro risoluzione devono far desistere dall’avanzare soluzioni drastiche e semplicistiche, come probabilmente a molti di noi sono apparse quelle nuovamente proposte nelle ultime settimane. Sul punto, appare del tutto legittima la diversa linea di pensiero di chi ritiene che solo la temporanea chiusura dell’impianto possa creare le condizioni per un adeguato risanamento, ma occorre forse domandarsi quale ambiente economico sia in grado di sopravvivere a una situazione del genere. Vediamo, dunque, come il caso Ilva non rappresenti una realtà territorialmente circoscritta, ma attragga interessi di portata generale, non solo in funzione delle sue dimensioni economiche, ma anche dei temi al centro del dibattito, che rappresentano senz’altro l’esempio concreto di un’economia che tende alla piena sostenibilità.
A cura di Monica Meo e Carla Pizzo
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