Ad inaugurare il ciclo di incontri di approfondimento politico è stato Antonio Campati, che ci ha aiutate nell’ardua impresa di fare chiarezza sul sistema con cui i cittadini italiani, in breve anticipo rispetto alla scadenza naturale della XVII legislatura iniziata del 2013, si avvieranno alle urne il prossimo 4 Marzo.
Il voto sarà regolamentato dalla prima applicazione della legge elettorale emanata nel 2017: il “Rosatellum bis” che, al di là della sua complessa configurazione a sistema misto, prevede una ripartizione dei seggi secondo le percentuali che seguono:
• il 37% dei seggi con sistema maggioritario, ovvero l’elezione del candidato più votato nel collegio;
• il 61% dei seggi con sistema proporzionale;
• il 2% dei seggi destinato agli elettori residenti all’estero;
È forse necessario soffermarsi sul perché di questa riforma elettorale.
Il sistema elettorale precedente, il c.d. “Porcellum” non era stato certamente considerato un modello di chiarezza e stabilità politica, ed era stato bocciato dallo stesso ministro estensore del testo. Segue l’ “Italicum”, grandioso nel suo progetto, come sta a suggerire la denominazione, ma assolutamente osteggiato nella sua applicazione dalla Consulta che, nelle ventisei pagine stillate dai quindici giudici della Corte Costituzionale, è accusato, non solo di alterare la democrazia italiana a causa di una mancanza di soglie di sbarramento (previste invece dalla nuova legge), ma anche di “discriminare” la collocazione geografica del collegio in cui si vota a seconda del quale sarebbe cambiato il peso del voto.
Questi, insieme ad altri punti incostituzionali della vecchia legge elettorale, svaniscono con l’avvento del Rosatellum.
Non illudetevi cari elettori, quest’ultima non è e non sarà comunque una riforma elettorale perfetta.
Tale miraggio forse rimarrà nelle coscienze degli italiani che dovrebbero aver ormai intuito come non possa pensarsi ad una legge elettorale esemplare, che cioè risponda alle esigenze di tutti i gruppi e gli esponenti politici. Lo dimostra il fatto che, da sempre, la politica italiana ha scaricato la colpa dell’ingovernabilità sull’inefficienza del sistema elettorale, che parrebbe un tradizionale escamotage per convincere i cittadini che la mancanza di un governo solido derivi da un problema tecnico.
Non sono mancate, durante l’incontro, le proteste di chi è più sensibile ad una delle difficoltà che affligge la fascia degli studenti fuori sede, vale a dire la necessità di spostarsi dalla città universitaria alle urne di casa, e se si considerano le promesse degli ultimi anni di governo, si registra, in realtà, un profondo e attuale disinteresse nei confronti della questione. Dunque, il problema sembra evidenziare le contraddizioni interne di quella che dovrebbe essere una democrazia rappresentativa, garante del suffragio universale e della sovranità popolare, che in realtà appare più mallevadrice di un suffragio ristretto ai pochi volenterosi e in grado di investire poche ore della propria vita e risorse proprie in un viaggio di andata e ritorno.
Gli amanti di Carlo Verdone potranno capire che l’Italia ritratta nel film “Bianco Rosso e Verdone” del lontano ma vicino 1981 non è poi troppo diversa da quella attuale. Lunghissimi e travagliati viaggi per raggiungere la propria sede elettorale vedono i protagonisti della commedia – Pasquale Amitrano dalla Germania a Matera, Mimmo e la mitica nonna da Verona a Roma e la fatidica coppia di Furio e Magda da Torino alla capitale – imbattersi in quella Italia disorganizzata e non curante dei propri elettori fuori sede.
a cura di Viviana Mercuri
Comincia la discussione