Mercoledì 21 febbraio si è tenuto il secondo appuntamento del ciclo di approfondimento politico organizzato dal Collegio in vista delle elezioni del 4 marzo. All’incontro è intervenuto Giancarlo Rovati per chiarire i termini in cui si parla di povertà e la fattibilità delle misure che si propongono di contrastarla.
È innegabile che il tema abbia acquisito una rilevanza crescente non solo nelle esigenze dei più, ma anche nei dibattiti e nei programmi dei diversi partiti e sulle piattaforme televisive e digitali.
La riflessione deve indubbiamente prendere le mosse da due domande fondamentali: “Che cos’è la povertà?” e “Come la si misura?”. La povertà è innanzitutto una forma di disuguaglianza, ma le misure per il suo contrasto non sono riducibili ad una opposizione alla disuguaglianza, infatti come dice il premio Nobel per l’economia Amartya Sen, “la disuguaglianza è una forma di incapacitazione”. Dunque, le persone che si trovano in una situazione di disagio economico risultano essere anche prive di capacità come la resilienza e pertanto diventa più difficile per loro cambiare la propria posizione. Pertanto, non si può pensare che la riduzione della disuguaglianza porti automaticamente ad ottenere una situazione di maggior benessere economico. Infatti, la disuguaglianza e la povertà economica dovrebbero configurarsi come dei fattori temporanei e di stimolo al miglioramento della propria posizione, tuttavia possono rivelarsi anche come una trappola denominata per l’appunto “trappola della povertà” trasformandosi in una situazione permanente.
Le unità di misura impiegate per stimare la povertà sono per lo più di natura economica, come ad esempio l’indice di rischio di povertà – che in Italia risulta essere del 20% – riguarda la possibilità di potersi permettere di acquistare beni primari in quantità appena sufficiente per la sopravvivenza; la mobilità, o nel caso italiano l’immobilità, sociale. Vi è poi una distinzione importante tra povertà assoluta, a cui fa riferimento la proposta governativa REI (ovvero reddito di inclusione) e povertà relativa, a cui fa invece riferimento la proposta del reddito di cittadinanza avanzata dal Movimento 5 Stelle. La scelta fra la povertà assoluta e la povertà relativa risulta essere un parametro di fondamentale importanza per l’elaborazione delle misure di contrasto alla povertà.
La povertà assoluta indica l’incapacità di acquisire i beni e i servizi, necessari a raggiungere un livello di vita minimo accettabile nel contesto di appartenenza, cioè nell’ambiente di residenza. La povertà relativa è un parametro che esprime la difficoltà nel reperire i beni e servizi, riferita a persone o ad aree geografiche, in rapporto al livello economico medio di vita dell’ambiente o della nazione. La povertà assoluta risulta essere raddoppiata dalla crisi del 2008 fino al 2015, mentre la povertà relativa ha seguito un andamento sostanzialmente stabile. Dunque, è risultato evidente che la questione della povertà assoluta necessiti al momento di un’attenzione maggiore.
Il REIS, il reddito di inclusione sociale, la cui proposta nasce nel 2013, prevede che vengano forniti aiuti per i cittadini che si trovano in una situazione di povertà assoluta. Il SIA, il sostegno all’inclusione attiva, non si limita a fornire solo aiuti materiali ai cittadini in difficoltà, ma prevede appunto un piano di reintegrazione nella società e nel mondo del lavoro. Quest’ultimo ha però mostrato numerosi punti deboli, come l’inadeguatezza dei servizi, l’incapacità di contrastare la disoccupazione e l’inadempienza dei soggetti beneficiari. Il REI è stato approvato nel 2017 e consiste in una evoluzione del SIA.
L’incontro si è rilevato certamente proficuo non solo per aver chiarito gli indici per la misurazione della povertà e le misure ottimali per il suo contrasto, ma anche per aver finalizzato questi dati ad una migliore comprensione dell’adeguatezza, fattibilità e opportunità delle misure di contrasto proposte.
A cura di Federia Ciurlia
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