Caffè Letterario con l’autore Roberto Marri
Le primavere promesse…
…appena prima che l’attimo sia pieno
quando tutto è di là da venire
quando tutto è di là da cadere.
Così scrive Roberto Marri nella poesia “Primavere promesse”, parte dell’omonima opera. E non potrebbe esserci modo migliore per descrivere quello che è il filo rosso di tutta la raccolta: l’aspettativa, l’attesa di qualcosa di piacevolmente vago e indefinito. Il momento prima di un incontro, di una festa, di un viaggio, è sempre il momento migliore. Racchiude in sé un potenziale illimitato, è ideale, in quanto nostra creazione; ci dà la possibilità di viaggiare con la mente e aspettarci l’impossibile. Qualsiasi cosa potrebbe accadere. Poi, un attimo dopo, la poesia svanisce.
Le primavere promesse sono fatte di attesa, di speranza, ma al tempo stesso implicano un vuoto, la consapevolezza di una mancanza che si cerca di soddisfare. “Ancora a colmare / una nuova distanza”, scrive Marri in “Distanza”, mostrandoci come, effettivamente, ci ritroviamo sempre a tentare di riempire un vuoto, uno spazio dentro o fuori di noi. È, dunque, questa la nostra condizione perpetua? Vivere alla ricerca di qualcosa che ci possa soddisfare, per poi renderci conto, con disillusione, che nulla potrà, in effetti, reggere il confronto con le nostre aspettative? Arriverà mai la primavera, così come ci era stata promessa e così come ce l’eravamo immaginata?
L’amaro in bocca che lascia l’opera mostra che l’intento dell’autore non era quello di rispondere al quesito, ma piuttosto di porlo. La poesia riesce a rendere universale questo senso di attesa e speranza, e mostra che la nostra ricerca non è individuale, ma è propria di tutti.
Questa stessa ricerca è uno dei temi principali anche del romanzo “Sete”, dello stesso autore, dove il protagonista si ritrova in preda ad una sete che non riesce a placare, nonostante cerchi nei modi più disparati di colmarla o, quantomeno, acquietarla.
Nell’opera il protagonista, Rico, dopo aver passato la vita nel bar del quartiere a bere birra con gli amici senza mai concludere nulla e senza costruire niente di concreto, si rende conto che gli manca qualcosa. “C’è qualcosa di noi / che continua a sfuggirci”, scrive Marri nella poesia “Non finiamo”. E questo è proprio quello che accade al protagonista del romanzo, che, improvvisamente, ha bisogno di qualcosa che non riesce a comprendere né identificare. La sua ricerca di vita, difficile e destinata, purtroppo, a fallire, si sviluppa in un contesto estremamente semplice e quotidiano, quello del quartiere dove vive da sempre e da sempre fa le stesse attività. E se da un lato può sembrare che le piccole e semplici cose di ogni giorno possano bastare ad essere soddisfatti – come testimonia l’amico più stretto di Rico, Sanchez, che non si interroga mai sulla vita e la cui unica sete è quella di birra – dall’altro, ci si rende conto che forse, per dare davvero un senso alla propria esistenza, è indispensabile cercare qualcosa di più, anche se non necessariamente la ricerca avrà un esito positivo.
In effetti Rico, alla fine del romanzo, paga a un prezzo forse troppo caro il suo tentativo di cambiare vita e omologarla a quella di tutti gli altri, morendo sul lavoro. Il suo primo lavoro stabile. Era quello il modo giusto, per Rico, di colmare il vuoto, di saziare la sete? Nemmeno in questo caso ci è dato conoscere la risposta, e, ancora una volta, non ci resta alto che chiederci se questa lunga attesa, questo viaggio, questa ricerca darà mai i suoi frutti o se, al contrario, nessuno di noi riuscirà mai a godere della primavera che ci era stata, o meglio, che ci eravamo promessi.
Francesca Dell’Acqua
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