Sabato due marzo, la Sala Gornati del Collegio Marianum ha ospitato un interessante incontro con Lucia Grassiccia, autrice dei romanzi Elevator (2013) e La rivoluzione dei tarli (2018), e con la editor Sandra Gorla, per Prospero Editore, curatrice delle opere della scrittrice.
Siciliana d’origine, esperta di arte e poi di arte-terapia, Lucia ha individuato nella riflessione sull’ambiente, l’immagine e il visivo il fil-rouge che ha caratterizzato l’intera conversazione: dall’importanza dell’aspetto esteriore, che rivela parti dell’interiorità dell’uomo, al significato stesso dei nomi scelti per i suoi personaggi, che fungono da descrizioni per le caratteristiche più profonde, l’autrice ha raccontato di come il suo legame con autori del calibro di Verga e Pirandello, le abbia permesso di ritualizzare un concetto di “identità” che, grazie a poche puntuali caratteristiche fisiche, le permette di rendere subito riconoscibili i protagonisti delle sue storie.
La scrittrice ha dedicato un interessante passaggio anche a Ciprì e Maresco, registi siciliani che hanno rappresentato per lei una grande ispirazione e che della carnalità e bruttura dell’uomo hanno fatto il centro della loro attività creativa, dando spazio in questo modo ai lati spesso taciuti dell’essere umano, che invece per Lucia Grassiccia devono essere mostrati.
La stessa esperienza con l’arte-terapia pone al centro il corpo, tramite la scelta, l’uso e la lavorazione con un dato materiale, che porta il soggetto a esprimere le sue emozioni. Questa disciplina, secondo l’autrice, permette di comprendere come ogni forma di arte abbia un ruolo di sostegno nel filtrare e nell’elaborare gli eventi traumatici. È questo lo scollamento fra l’arte “esposta” e “vendibile” e l’arte-terapia: la prima si preoccupa del mercato e del guadagno e meno, ad oggi, della possibilità di far trasparire messaggi ed emozioni.
Vi sono molti elementi della realtà vissuta dalla scrittrice nei suoi romanzi. Tra i tanti, il confronto, a seguito del suo trasferimento, fra la vita in Sicilia e i condomini milanesi, i primi caratterizzati dalle relazioni, le conoscenze, i confronti, i secondi dall’anonimato e la distanza; il forte legame di Lucia con la sua terra di origine traspare, d’altronde, nella descrizione di Scanto ne La rivoluzione dei tarli, vista come un luogo interiore, da cui quindi è difficile, se non impossibile, allontanarsi completamente. Un contesto, quindi, inteso come elemento determinante per lo sviluppo di relazioni ed emozioni. «Ti percepisci isola solo se te ne stacchi», ha detto l’autrice, rimarcando come un tempo si trovasse immersa nella sua realtà, trovasse difficile proiettarsi all’esterno e, anche una volta lasciata la Sicilia, la continuasse a sentire parte fondante di sé.
Lucia Grassiccia lascia trasparire nei suoi romanzi elementi del reale e questo, forse, le permette di riflettere e rielaborare, legittimando il possibile ruolo terapeutico della scrittura. Quest’ultima appare, così, strumento di catartica salvezza, inchiostro che si fa sangue e ossigena i pensieri, li riordina e poi li lascia lì, al loro caos originario. La penna diventa così un’arma affilata capace di forgiare l’animo e piegarlo al sensibile, al sublime e quindi capace di aprire le ferite della vita con la consapevolezza di chi ha occhi disposti ad osservare e orecchie ben tese ad ascoltare, perché a sentire e vedere, in fondo, sono bravi tutti.
Una riflessione sull’importanza dell’esteriorità per la scrittrice potrebbe, infine, ricondurre all’epoca attuale, nella quale è solo l’apparire, il mostrare e l’ostentare quello che si pensa dia valore alla nostra persona. Ed è a tal proposito che “il sottosuolo” perde le sue memorie, precipita su un palcoscenico e recita il ruolo del giorno: diventa zimbello del vero e idolo della menzogna.
Le certezze del passato iniziano a crollare in ogni ambito, dalla società alla politica e la superficialità dilagante smonta le idee e le dissacra mescolandole a pulsioni nichilistiche. Il risultato appare essere un presente senza nome, un’abnegazione delle categorie, un elogio all’incompetenza. In un contesto simile ci si chiede che forma assumano le cose, quali siano i confini che le determinano e li definiscono e, allora, appare che la consistenza viene meno, la materia si confonde e con essa i sentimenti, le relazioni e gli ideali diventano della stessa sostanza dell’acqua, pronti ad essere contenuti, pronti a scivolare.
Ci sono storie che raccontano di questo e di molto più, altre che riconducono il discorso all’alienazione nelle sue più diverse sfumature e altre ancora che profonde, delicate, discrete, intense muovono le vite delle persone come un susseguirsi di occasioni, momenti e parole.
Quella di Lucia Grassiccia è una storia completa, capace di riunire in sé tutti gli aspetti e farne una sintesi magistrale. Resta da chiedersi se tutto questo avvenga per caso o per un disegno prestabilito, se è vero che l’amore una volta perduto tolga la voglia di vivere. Ma questa è un’altra storia.
A cura di Chiara De Stefano e Flavia Ravara.
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