I benefici del consumo culturale
“Con la cultura si mangia”? Per rispondere a questa domanda si potrebbe, sicuramente, fare riferimento alle politiche culturali seguite negli ultimi anni dal Governo italiano. Tagli ai fondi del Ministero per i beni e le attività culturali, all’istruzione, come conferma l’ultima legge di bilancio, e sostituzione di teatri con apparati commerciali: sono queste alcune tra le principali vie d’azione, o meglio di “anti-azione”, per cui la risposta alla domanda iniziale sembrerebbe un secco “no”.
A quanto pare però la cosiddetta cultura, stando ai dati dell’anno 2017, sarebbe fonte di 92 miliardi di euro, 6,1% del nostro PIL e 1,5 milioni di posti di lavoro. Se la “cultura” è rappresentata non solo dal patrimonio storico e artistico tangibile, ma anche dal paesaggio e da tutti quegli elementi intangibili di un Paese, come valori, credenze e tradizioni, allora questa è in grado di influenzare radicalmente atteggiamenti quotidiani della collettività, ovvero il complesso di tutti i suoi comportamentieconomici. Il legame indissolubile economia-cultura, seppur ufficializzato da diverse politiche europee e dalla convenzione UNESCO stessa, permane nell’opinione comune, come anche in quella degli economisti contemporanei, come approccio teorico che si ferma alla carta, senza concretizzarsi effettivamente inpolitiche culturali abilitanti. Tale diffuso scetticismo rattrista ancora di più in un Paese, come l’Italia, che qualche decennio fa vantava un primato mondiale nei campi dell’arte, della lirica e della moda, ma che oggi stenta ad avere un mercato d’arte contemporanea di livello internazionale, a non avere grossi debiti nel settore teatrale e museale e che, soprattutto, fatica a credere di dover riparare a queste falle del sistema per i riflessi non solo economici, ma anche sociali.
Negli ultimi decenni, infatti, il consumo culturale ha ampliato la sua rilevanza economica, sociale e simbolica. Veicolo per auto-identificarsi, ossia per ricercare ed esprimere la propria identità, il consumo culturale si rivela altresì funzionale alla risoluzione di problematiche sociali. Tra gli esempi più positivi emerge la promozione di attività teatrali e para-teatrali come momenti educativi e soprattutto esplorativi del proprio io e dell’altro da sé, capaci di abbattere i tassi di abbandono scolastico e di recidiva post-carcere. Altrettanto fruttuosi sono i suoi effetti nell’ambito dell’invecchiamento mentale. Come affermato da Simone de Beauvoir (1970) – saggista e filosofa parigina- gli intellettuali invecchiano in modo migliore, o più precisamente, una mente attiva, impegnata, curiosa e creativa costituisce un prerequisito fondamentale per affrontare problemi di salute, migliorare le capacità comunicative e quindi condurre una vita, seppure nella fase della vecchiaia, in modo qualitativo e produttivo.
Accanto al miglioramento della qualità sociale, cosiddetto well-being, risiede l’evoluzione dei sistemi di salute e sanità. Dedizione ad attività quali pittura, danza, musica, teatro da parte dei pazienti in degenza negli ospedali può rappresentare un miglioramento delle loro condizioni, come diminuzione di ansia, stress, depressione etc. e conseguentemente un contenimento di costi nel sistema sanitario. D’altro canto però, per la definizione stessa di tali discipline, risulta ostica la misurazione e quantificazione,anche economica, degli effetti di queste, per dare legittimazione all’impiego di pratiche culturali finalizzate allo sviluppo sociale, oltre che economico.
La vera risposta alla domanda iniziale, che si attende da un Paese civile e avanzato quale l’Italia, confermerà al più presto di essere, potrà a questo punto essere, effettivamente solo un “no”. Per l’appunto con la cultura non si mangia affatto; essa non dà adito alla fame bulimica di un pubblico desideroso di prodotti scarni e poveri, ma nutre menti di esperienze durevoli e appaganti. Come nella sua etimologia, così nel verbo “nutrire” giace un significato più profondo: “allattare”, esattamente come una madre fa con un figlio, implica amare ed educare. Il consumo culturale si rivelafinalmente nella sua maternità come nutrice non solo per il sistema sociale ma anche per quello economico stesso.
A cura di Viviana Mercuri