Le prime luci dell’alba rischiarano una terra fragile e bellissima, si alza il vento e il fumo dei roghi si spande, acre e impietoso, come una nebbia di morte, insieme alla coscienza civile dei responsabili, anch’essa morta.
Il teatro in cui si svolge questa scena non è solo la Terra dei fuochi, compresa tra le province di Napoli e Caserta, ma può essere qualsiasi altro luogo di questa Italia, con le sue contraddizioni e i suoi slanci d’amore, con le sue diverse anime e le sue storie. E, come accade per ogni storia che si rispetti, c’è bisogno di un narratore che la racconti, un testimone fedele ai fatti e assetato di verità, che vive in maniera forte il suo impegno civile; un osservatore attento quale è Antonio Maria Mira, caporedattore della sede romana del quotidiano Avvenire, che ha incontrato martedì 22 maggio le studentesse del Collegio Marianum, in occasione della conferenza sul tema “Ecomafie ed eco-reati. Il business del mal-ambiente”.
Roghi tossici, smaltimento illegale dei rifiuti: questi alcuni dei fenomeni su cui si è incentrato l’intervento del giornalista, che ha sottolineato come oggi il colpevole dei reati ambientali, non sia da individuare solo nella mafia nel senso più tradizionale del termine, ma anche in una nuova categoria di “eco-furbi”, che coinvolge “imprenditori-prenditori”, privi di scrupoli nell’anteporre il proprio tornaconto personale a quello del Paese e del pianeta, rei di sfruttare un sistema che consente di massimizzare i loro profitti attraverso lo smaltimento illecito dei rifiuti industriali.
Anche se negli ultimi anni si sta registrando una prima riduzione degli eco-reati, la loro incidenza –ha riferito Mira- continua ad essere troppo elevata. Colpisce infatti la schiacciante prevalenza degli interessi economici su quelli ambientali e sociali, l’agghiacciante visione di un mondo imbruttito dal denaro e privato di quanto, invece, dovrebbe esserne la sostanza: l’amore per il bello, per ciò che è “casa” e la speranza che questo qualcosa possa fiorire.
Peppino Impastato, giornalista e attivista, che ha combattuto la mafia pagando con la sua vita, diceva: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà”; è infatti la consapevolezza che possa esserci qualcosa che vada oltre il gretto orizzonte della mafia e della corruzione, che spinge anche oggi tante persone a ricercare una strada alternativa e dare a sé e agli altri un’occasione per una vita migliore.
Talvolta occorrono scelte radicali, come quelle prese dal Tribunale dei minorenni di Reggio Calabria, che ha portato via i bambini alle famiglie ‘ndranghetiste, per dare loro una speranza di esistenza normale, anche fornendoli di una nuova identità e inserendoli in un contesto familiare sano che non li porti irrimediabilmente a ripercorrere la carriera criminale dei padri, degli zii, dei fratelli più grandi.
È vero, come ha sottolineato Mira, che la circostanza di essere nati in quegli ambienti li segna irrimediabilmente, ma ricordiamoci che ogni vincolo nella vita può diventare un’opportunità, e che sta a noi la responsabilità di coglierla o meno. Possiamo chinare la testa difronte ai soprusi delle mafie e alla sopraffazione dei potenti, possiamo chiudere gli occhi dinanzi alla devastazione dell’ambiente messa in atto dai criminali o dagli speculatori oppure, come Impastato, nato in una famiglia affiliata alla mafia, possiamo scegliere di non voltarci dall’altra parte, di ribellarci a sistemi degradanti che ingabbiano la nostra creatività, che limitano la libertà di esprimere al meglio noi stessi.
Possiamo lasciare che un bene confiscato alla mafia rimanga abbandonato e condannato all’oblio del tempo e alle voci disilluse della gente: “Almeno prima lì ci facevano qualcosa…. Almeno quel boss dava lavoro!”. Oppure possiamo levare la voce, denunciare a pieni polmoni l’incuria, l’illegalità in materia ambientale e in qualsiasi altro campo, riprendere il controllo, non solo sul nostro territorio, ma anche della nostra coscienza.
Non lasciamo che essa si assopisca, che si addormenti al suono stanco del consueto ritornello: “Si è sempre fatto così, è sempre stato così”. Al contrario, riprendendo ancora una volta le parole di Peppino Impastato: “È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione, ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore”.
Il giornalismo di inchiesta si propone, stimolando curiosità, stupore, a volte vergogna e rabbia, di smuovere le coscienze, veicolando idee, immagini, che facciano scattare nel lettore una scintilla, che lo facciano sentire parte di una società, presente e partecipe, che si riconosce nei valori della legalità e che cammina, a passo deciso, nel rispetto delle persone e dell’ambiente.
A cura di Elena Cafagna
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