Di pace, cappelli e inaugurazioni

Nell’immaginario collettivo l’idea della cerimonia di apertura dell’anno accademico ha sempre suscitato una buona dose di curiosità e di fascino, trattandosi di un momento non solo solenne, ma impregnato di una sacralità laica e di una affascinante magia.

Proprio per questo per chi ha assistito per la prima volta deve essere stato emozionante quando, come membri di un unico ensemble, i Presidi di Facoltà hanno indossato in contemporanea i loro cappelli e il Magnifico Rettore ha annunciato solennemente l’apertura del 99esimo anno accademico dalla fondazione dell’Università Cattolica.

La giornata, come da rituale, ha avuto inizio con la messa celebrata nella Basilica di S. Ambrogio dall’Arcivescovo di Milano, Mario Delpini, che ha incentrato la sua omelia sul delicato e attualissimo tema della parola. Il “logos” infatti, come sostenevano anche celebri autori del mondo classico, rappresenta un potente mezzo di trasmissione della vera conoscenza come della menzogna. La parola, sostiene l’arcivescovo, è malata se malvagia, se timida, se vana, e se vigliacca e non ha la forza di farsi sentire al momento giusto. La parola sana invece si configura a poco a poco come un quotidiano arricchimento per gli interlocutori, sia per chi parla sia per chi ascolta, e non come un “passatempo” che riduce le relazioni interpersonali a meri scambi di banalità.

Per certi versi interconnesso è stato il discorso tenuto poi dal Magnifico Rettore nell’Aula Magna, che ha esordito con una lucida analisi delle misure propedeutiche alla complessa costruzione della pace.

I conflitti, ha sottolineato il Prof. Franco Anelli, hanno sempre più radici di natura culturale che derivano dalla non conoscenza, non solo dell’altro ma anche di sé. Inconsapevolezza e ignoranza che portano a definirsi solo in opposizione, in maniera negativa rispetto all’altro.

Dove l’identità culturale è fragile maggiore è il rischio che si corre di vedere nell’altrui cultura la “barbarie” ed è dunque oggi più che mai necessario che l’università si prodighi per la creazione di una ben definita coscienza collettiva nelle istituzioni ma soprattutto a livello di valori.

L’approccio dell’Università Cattolica, sostiene il Rettore, deve essere di tipo teleologico, affinché la conoscenza acquisita non sia sterile ma connessa e in grado di rispondere alle grandi sfide della società contemporanea. Una conoscenza che guardi ad un fine e ad una precisa visione culturale e sociale dell’uomo e del mondo che riporti la persona al centro.

Segue un bilancio delle attività e della notevole crescita registrata dall’Università, classificatasi negli ultimi anni tra i primi 130 atenei al mondo.

Rilevante è poi l’opera di ampliamento, soprattutto per quanto riguarda la sede di Milano, che l’ateneo sta portando avanti per offrire spazi più accoglienti al sempre maggiore numero di studenti iscritti dal momento che, come scriveva Gemelli, “perché le cose accadano occorre un luogo”.

Con un motto giocoso il Rettore invita, infine, gli spettatori a soffermarsi sull’affresco alle sue spalle raffigurante le Nozze di Cana, che, ironizza, “molti avranno avuto modo di ammirare nei passaggi più noiosi di questo mio discorso”. L’episodio biblico, oltre a mostrare “la partecipazione generosa di Dio alle gioie dell’uomo”, racchiude anche il senso ultimo della missione delle istituzioni universitarie che è, per Anelli, quello di “trasformare l’acqua della vostra intelligenza nel vino della conoscenza”.

Monsignor Delpini, nel breve intervento che segue, augura all’Università di riuscire ad offrire ai suoi membri una visione, motivazione condivisa, e un sentimento di coralità, un invito ad essere tutti parte di un coro e di un gioioso insieme.

L’Arcivescovo conclude, infine, sottolineando la grande responsabilità che l’Università ha nei confronti della comunità, della Chiesa Cattolica e soprattutto dei suoi studenti, affinché tramite il loro percorso nell’Ateneo possano diventare uomini e donne con una consolidata coscienza critica.

Anche il Segretario di Stato Vaticano, Mons. Parolin, ha improntato il suo discorso sul tema della pace, rivendicando la costante opera compiuta dalla diplomazia pontificia per raggiungere questo difficile obiettivo.

L’intento della Chiesa – sottolinea Mons. Parolin – non è quello di ingerire nelle vite degli Stati, ma di essere ascoltatrice delle esigenze spirituali e materiali degli esseriumani che vi abitano.

Una pace precaria imposta con le armi in una situazione di emergenza non può rappresentare l’adeguata soluzione ad un conflitto. La risposta va ricercata nella diplomazia, unico strumento in grado di intessere e mantenere relazioni permanenti tra le varie sovranità che, con le loro parole e le loro azioni, sono responsabili di popoli.

Da ultimo, il Cardinale si sofferma sul nebuloso scenario della realtà post-globale, spiegando come, dopo una frenata globalizzazione, sia ora dominante una preoccupante volontà di chiusura al mondo. Al desiderio di cooperare è subentrata una frammentazione politica in cui gli Stati scelgono di arroccarsi, in un impeto di rifiuto, su posizioni sempre più isolate e proprio per questo senza fondamenta.

Mons. Parolin invita, invece, gli studenti a comportarsi come “pellegrini che non abbiano paura di sognare la pace per tutte le nazioni e tutti i popoli” e a non rinunciare a questo sogno, per quanto lontano e utopico possa apparire.

A cura di Beatrice Marsili

 

Foto di gruppo tra i chiostri dell’Università al termine della Cerimonia

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