Che cosa lega uno scrittore americano nato nel 1919 e una rapper italiana che fa il suo ingresso nel mondo della musica nell’agosto del 2013? Che cos’hanno in comune Jerome David Salinger e Myss Keta?
Li accomuna un divismo trasparente in cui l’assenza è, per il primo, consacrazione all’Olimpo letterario, per la seconda, la legittimazione al paradosso della diva irraggiungibile, seppur popolare.
Il fil rouge è quello che lega tutte le cose che si amano, poiché sono quelle che non si possono conoscere davvero.
“Come Iddio con noi: che non ci rende mai così felici come quando ci lascia vaneggiare nell’amabile illusione” così scrive Goethe ne I dolori del giovane Werther, sviscerando un tóposletterario, ma anche esistenziale, che riguarda in modo personalissimo ciascuno di noi che ascoltiamo Myss Keta e che leggiamo Salinger.
Salinger, due anni dopo aver pubblicato Il giovane Holden, scompare: non rilascia interviste, non appare in pubblico; diviene una delle figure di maggior spicco della scena letteraria mondiale. Alla sua morte, il 27 gennaio del 2010, il New York Time’s lo definisce “la Greta Garbo della letteratura”. Salinger è Greta Garbo mutilata, in una sorta di gelosia di sé, non si sciupa “nel troppo commercio con la gente (…) nel gioco balordo degli incontri e degli inviti”. Si conserva per un mondo di passioni amate in segreto, nell’assenza di clamore che caratterizza tutte le cose nobili.
Myss Keta è, invece, clamorosa. È la risposta pop a Nanni Moretti quando, in Ecce bombo, chiede: “Mi si nota di più se vengo o se non vengo?”.
Myss Keta nasce nell’agosto del 2013 con il singolo Milano, Sushi & Coca, emerge fin da subito come un personaggio celato, vestita dall’alone di tempeste mediatiche che da anni si trascina dietro. Nel mondo dell’overload dei volti, ci ricordiamo di chi si è mutilato di questa parte così inflazionata. Nessuno sguardo che ammicca, solo occhiali scuri. Nessun nasino alla francese, nessun sorriso da campagna pubblicitaria, solamente qualche centimetro di stoffa e il volto scompare e scompagina tutto quello che sulla notorietà abbiamo sempre creduto di sapere.
Quindi: no, Nanni, non ti si nota di più se vieni, e a noi lo ha insegnato Myss Keta.
Il successo è, quasi sempre, frutto di un talento e, sempre, risultante di una buona strategia di marketing. Un economista definirebbe la strategia adottata da Myss Keta, Salinger, Bansky o i Daft Punk “strategia non convenzionale di distribuzione posticipata alla presentazione del prodotto”. Questo tipo di merchandaising si fonda sulla non visione del prodotto da parte dei fruitori che lo rende desiderabile come non potrebbero essere altrimenti.
Così la vita di Salinger che, a partire dal ‘53, viene evocata e mai mostrata, come il volto di Myss Keta divengono reali solo se immaginati, ci lasciano “vaneggiare nell’amabile illusione” che inevitabilmente ci attrae, come una luce verde verso cui tendiamo le braccia.
Flaubert all’inizio di Madame Bovary evoca quel mito, che distruggerà nel corso del romanzo, scrivendo: “Per chissà quale ingenua ipocrisia pensò che quella proibizione di vederla costituisse per lui quasi un diritto ad amarla.” In questo passaggio il creatore di Emma Bovary trova le parole per dirci perché, seppur non tutti hanno amato Myss Keta o Salinger, in qualche modo si trovano a rapportarvisi comeassunti della propria cultura.
In un volto che non si svela c’è la semplicità di mitizzare qualcosa che posso inventare da capo, di amare qualcosa che invento perché non l’ho mai visto davvero, c’è uno spazio di libertà che è fallacia, perché ciò che consegno al mito, ciò che amo non è altro che una proiezione di me stesso. È questo il marketing romantico dei divi trasparenti e forse stiamo solo aspettando un nuovo Flaubert che ci emancipi dal desiderare solo ciò che non vediamo da vicino.
A cura di Angela Macheda
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