Nella provincia ligure di La Spezia nel 2003 nasce Anna Pepe; oggi, a sedici anni, si arrampica tra le classifiche di Spotify e le sue parole ci stanno in bocca come un motivetto inevitabile: “Ci beccavamo nel bando, sopra il booster, Anna fattura e no, non parlo di buste”
Questa quotidianità, che Anna racconta, forse così lontana da quella di chi l’ascolta, s’infiltra, imprescindibile nelle giornate di chi se la porta nelle cuffiette, ma perché ci piace se è così lontana da noi che nel bando non solo non ci siamo mai stati, ma nemmeno sappiamo cos’è, che su un Booster non ci siamo saliti e pensiamo sia un detergente per sanitari?
Anna, nella sua intervista al Corriere della Sera, parla di un flow che rimane in testa e, forse Anna è la nuova Alice di Degregori e “tutto questo non lo sa”, ma quando parliamo di flow non parliamo d’altro che di metrica.
Quando parliamo del perché Bando è in cima alle classifiche di Spotify parliamo del perché la poesia classica è la resistenza ai confini dell’umanità: al tempo e allo spazio.
Tra i motivi per cui l’uomo cerca della vita non solo il racconto, ma il rac-canto, primo tra tutti c’è la necessità del ricordo, dell’incisività.
Il rap funziona quando i versi o, nel gergo barre, rispettano il ritmo dato da cassa e rullante fissato sui 4/4. La cassa e il rullante generano un beat caratterizzato da una struttura binaria riconducibile al verso giambico o a quello trocaico. Il rap, sostanzialmente, è basato sulla caduta prosodica delle parole. Il termine prosodia giunge fino a noi, celato dove non lo avremmo mai cercato, dall’antichità classica; deriva, infatti, dal greco “pros” ovvero “verso”, “odè” che significa “canto”.
In questi termini, questa diramazione dell’hip-hop diviene una declinazione della locuzione seicentesca “recitar cantando”.
Così Bando con i topoi classici dell’hip hop (la vita di quartiere, le buste di cocaina, l’ego trip) diventa in qualche modo il nascondiglio della poesia classica. La troviamo dove non l‘avremmo mai cercata, clandestina in questo mondo veloce. Le stesse regole dei poemi di Saffo e Catullo agisconoda sovrastruttura nel testo del singolo in cima alle classifiche.
Il Graal verso cui Anna è tesa, forse inconsapevolmente, è proprio quello dell’incisività, della possibilità peculiare dell’arte di rimanere, di eternare come scrive Shakespeare nel sonetto XVIII “when in eternal lines to time thou grow’st”.
Il rac-canto di Anna è quello dell’epos di un popolo di giovani promesse che si districano in labirinti di parole leggere (flow,beat). Anna si auto-affranca dal racconto, sceglie di dire un ethos cristallizzato nell’immaginario dell’hip-hop, ci butta nel “bando” e non le interessa se non sappiamo cos’è, perché sa che ce ne ricorderemo comunque.
A sedici anni, forse, tutti siamo un po’ Alice di De Gregori, ma forse Anna no. Forse Anna lo sa come si fa a rimanere, come si scrive un flow che resta in bocca anche se non vuoi, come un nettare cattivo. In quattro settimane “Bando” ha scalato le classifiche nazionali e quello che viene da chiedersi è se a fare la differenza siano le storie o molto di più gli strumenti che abbiamo per raccontarle.
A cura di Angela Macheda
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