14 maggio: fede, digiuno e senso di unità

Carissime, giovedì 14 maggio si terrà una giornata di preghiera e digiuno per liberare il pianeta dal coronavirus. Saranno coinvolti i leader religiosi del mondo. L’iniziativa è dell’”Alto comitato per la fratellanza umana” composto da capi religiosi che si ispirano allo storico documento firmato da papa Francesco e dal grande Iman di al-Azhar, Ahmed al-Tayyeb il 4 febbraio 2019. La proposta presentata anche dal papa è quella di rivolgersi a Dio a una sola voce, perché preservi l’umanità da questa pandemia. Ciò non toglie l’importanza della dedicazione eroica di medici e infermieri e quello della ricerca scientifica, ma non dimentichiamo di rivolgerci a Dio Creatore in tale grave crisi. Da qui l’invito alle persone di tutto il mondo a pregare (suggerisco il Rosario, ma anche altro) e digiunare (=fare volentieri qualcosa di noioso, rinunciare a qualcosa di non essenziale della giornata). Ogni religione chiederà a Dio che elimini questa epidemia, aiuti gli scienziati a trovare il rimedio una medicina che la sconfigga, e liberi il pianeta dalle conseguenze sanitarie, economiche e umanitarie della diffusione di tale grave contagio. Non è la stessa orazione, ma è la medesima intenzione. Anche noi, sensibili in questi anni alla voce delle altre religioni, non possiamo sottrarci a questo richiamo universale.

don Giorgio

 

Al termine della recita del Regina Coeli del 3 maggio scorso, Papa Francesco ha annunciato di aver accolto la proposta dell’“Alto Comitato per la Fratellanza Umana” per «una giornata di preghiera e digiuno, per implorare Dio di aiutare l’umanità a superare la pandemia di Coronavirus».

Papa Francesco si fa araldo dell’unità del genere umano. Di qui la preoccupazione perché la ricerca scientifica si muova avendo sempre presente il fatto che siamo tutti «sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati». Sì, la barca è una: «È importante mettere insieme le capacità scientifiche, in modo trasparente e disinteressato, per trovare vaccini e trattamenti e garantire l’accesso universale alle tecnologie essenziali che permettano a ogni persona contagiata, in ogni parte del mondo, di ricevere le necessarie cure sanitarie».

Considerarsi tutti membri di una sola famiglia umana, imparare a curare il creato, non è un ‘di più’, cui si può rinunciare se il contesto è difficile. Si rivela sempre più una necessità, in questo tempo di globalizzazione e di allargamento di orizzonti. La Storia – che avevamo messo da parte per far trionfare le nostre piccole storie – chiama a un’unità che faccia perno su ciò che ci unisce e lasci da parte ciò che ci divide.

È un tempo di vicinanza, non di distanza. Con la fede in Dio possiamo avvicinarci agli invisibili, ai fratelli più poveri che lottano ogni giorno per la fame e la sete e anche per le malattie che la nostra civiltà ha dimenticato. Noi, chiusi nelle nostre camere, possiamo compatire e capire i carcerati, apprezzando il valore della libertà. Pur non entrando in chiesa possiamo recitare un Rosario da casa, ricordandoci dei fratelli perseguitati perché non possono praticare la propria fede.

Il nostro Collegio, testimone della solidarietà tra religioni che negli scorsi anni non ha mancato di promuovere, si stringe ancora di più in quest’occasione attorno ai fratelli di ogni credo, con la forza di una Fede che varca confini e accorcia distanze.

La preghiera comune di questo giovedì diviene per tutti un segno spirituale e universale: malgrado le differenze, non ci si salva da soli ma soltanto riconoscendoci vicini nella comune umanità e affrontando insieme la lotta per la vita di tutti. Con l’auspicio che le autorità civili del mondo adottino davvero, per la fine della pandemia, quella «collaborazione comune come condotta» a cui invita papa Francesco.

 

A cura della commissione liturgica

Virginia Bellino Roci e Eliana Cambria

Comincia la discussione

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *