THE MANIC PIXIE DREAM GIRL: DECOSTRUZIONE

I tropi narrativi sono quegli strumenti di cui si serve chi racconta una storia: sono frasi, evoluzioni della trama, tipi di personaggi, dialoghi ed ambientazioni che vengono usati tanto spesso da diventare delle convenzioni narrative e, nel peggiore dei casi, dei veri e propri clichés.

Un tropo narrativo emerso nelle commedie più fortunate dei primi anni duemila è quello della Manic Pixie Dream Girl, definito per la prima volta dal critico cinematografico Nathan Robin:

«[…] spumeggiante e superficiale personaggio cinematografico che esiste solo nella febbrile immaginazione di sceneggiatori e registi, e ha lo scopo di insegnare a uomini pensierosi ad abbracciare la vita, le sue avventure e i suoi infiniti misteri». (Nathan Rabin, My Year Of Flops, Case File 1: Elizabethtown: The Bataan Death March of Whimsy, The A.V. Club, 25 gennaio 2007).

Il termine si è presto diffuso nella cultura pop, in quanto perfettamente calzante per descrivere un prototipo femminile che rappresenti un’adorabile fatina sempre in movimento, ingenua ed un po’ eccentrica, ma perfettamente aderente ai canoni di bellezza richiesti (pelle bianca, tratti occidentali, lineamenti delicati, corpo snello e aggraziato e grandi occhi espressivi).

Questi personaggi esistono esclusivamente in funzione dei desideri e delle volontà delle loro controparti maschili: la Manic Pixie Girl classica non ha una propria profondità, non subisce un’evoluzione, non vive un viaggio di scoperta e di crescita personale, ma funge da strumento essenziale per la rivoluzione interiore del protagonista maschile.

Una Manic Pixie Dream Girl è estroversa e, in virtù di questa sua imprescindibile qualità, spetta a lei il compito di avvicinare per prima il timido uomo in cerca di una svolta nella sua vita: così avviene per l’incontro tra Claire, una spumeggiante assistente di volo innamorata della vita, e Drew, un’aspirante suicida, in “Elizabethtown”.

Un’altra caratteristica fondamentale di questo tropo è l’avere gusti particolari e molto evidenti sia in tema di musica che di moda: come dimenticare l’adorabile Summer di “500 Days of Summer” che esclama all’orecchio di un già innamorato Tom “I love The Smiths!” prima di intonare l’indie hit “There is a light that never goes out”.

Il mantra di questi personaggi è “Non sono come le altre ragazze!”: così, in “Garden State”, Sam, nel tentativo di rimarcare la sua unicità, sorprende Andrew con un balletto pieno di contorsioni e strani versi che “nessuno nella storia dell’umanità potrà mai replicare”.

Molte di queste caratteristiche sono riconoscibili in altre eroine della storia cinematografica: Susan di “Bringing up Baby”, la principessa Anna di “Roman Holiday” e, ovviamente, Amelie de “Le Fabuleux Destin d’Amélie Poulain”.

Ma cosa distingue una “quirky woman” con una forte personalità come Annie Hall da una Manic Pixie Dream Girl?

La diffusione del termine “Manic Pixie Dream Girl” all’interno della cultura pop ha allontanato lo stesso dal tropo narrativo specificamente individuato da Rabin, il cui modello di riferimento è proprio il film Elizabethtown.

L’attrice, scrittrice e sceneggiatrice Zoe Kazan ha spesso criticato la superficialità con cui questo termine è stato applicato a personaggi femminili complessi e profondi solo perché aderenti ad alcune caratteristiche del tropo.

La sua opera “Ruby Sparks” è una critica perfetta contro questo cliché dai risvolti sessisti: il protagonista Calvin è uno scrittore affermato e solitario che viene colpito dal “blocco dello scrittore”. Una notte decide di mettere per iscritto le caratteristiche della sua donna ideale e al risveglio scopre che questa si è materializzata nel suo salotto. Ruby è l’estremizzazione del concetto di “Manic Pixie Dream Girl”: completamente asservita al suo creatore, la sua funzione è quella di aiutarlo a superare la sua depressione e riscoprire la bellezza della vita. Quando Calvin non è con lei, Ruby non esiste.

È per questa ragione che un personaggio come Clementine di “Eternal Sunshine of the Spotless Mind” non può essere racchiuso nella stessa categoria di Ramona Flowers di “Scott Pilgrim vs The World” solo perché entrambe hanno una passione per le tinte per capelli stravaganti : infatti, se Ramona Flowers ha la funzione di strappare Scott alla monotonia della sua vita ed è alla fine del film il “premio” per la sua evoluzione interiore, Clementine ha una vita al di fuori della relazione con Joel.

Esplicativo è il dialogo tra i due nella scena della libreria, dove emerge la frustrazione di Clementine: «Troppi uomini pensano che io sia un’idea o che possa completarli o che possa riuscire a ridargli la vita. Ma io sono solo una ragazza incasinata che cerca la sua pace mentale; non farmi carico della tua».

Il tropo della Manic Pixie Dream Girl è, dunque, portavoce di una femminilità stereotipata, ingenua, fragile e ribelle quanto basta da intrigare lo sguardo dell’uomo e allo stesso tempo compiacerlo in quanto incarnazione dei suoi desideri. Etichettare un personaggio come Manic Pixie Dream Girl senza decostruirlo correttamente può significare avvilirne la profondità e congedarlo come clichés al servizio dell’ego maschile.

 

A cura di Federica Ciurlia

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