LIBERTÀ VA CERCANDO- Voci spezzate nella Turchia di Erdogan

Appare amaro, quasi beffardo, morire il 25 aprile in un carcere della Turchia a soli 28 anni per aver cantato Bella Ciao quando in Italia si celebra la giornata della Liberazione.

Mustafa Koçak apparteneva infatti al Grup Yorum, la band turca che nel 2012 aveva intonato in una piazza gremita di Istanbul la canzone simbolo della Resistenza italiana, divenuta inno alla libertà in tutto il mondo. Uguale è la melodia, simili le parole ma ben diverso il tono dell’esibizione che lascia trapelare uno struggente sentimento di anelito alla libertà.

Arrestato il 23 settembre del 2017, con l’accusa di terrorismo, il chitarrista è stato condannato all’ergastolo con un processo sommario e torturato per mesi. La sua forma di denuncia non violenta è stata la stessa già intrapresa in carcere dagli altri musicisti del gruppo: lo sciopero della fame. Dopo 237 giorni, la voce di Mustafa, ridotto ad uno spettro di 29 chili, si è spenta.

Lo aveva preceduto il 3 aprile, Helin Bölek, la cantante della band, anche lei ventottenne e in sciopero della fame da 288 giorni, che poco prima di morire, ormai fragile nel corpo ma non nello spirito, scriveva sulla pagina Facebook: “Non siamo autolesionisti, vogliamo solo essere ascoltati e che quanto è accaduto a noi non si ripeta di nuovo”.

Chiedevano entrambi un giusto processo e la fine della sequela di persecuzioni, arresti e torture che colpiscono quotidianamente non solo i componenti di Grup Yorum ma anche chiunque possegga uno dei loro dischi o ne canti le canzoni. Canzoni i cui testi danno voce alle minoranze, agli oppressi e quanti bramano il rispetto dei diritti umani fondamentali.

Grup Yorum, fondato nel 1985 da quattro studenti universitari, ha realizzato 23 album e con oltre due milioni di dischi venduti e numerose tournée internazionali è uno dei gruppi più popolari nella storia della Turchia. Ispirato agli Inti-Illimani e a principi socialisti, il complesso è divenuto portavoce degli ideali di giustizia, democrazia e libertà di espressione, soffocati nella morsa sempre più autoritaria della repressione di Erdogan.

In 35 anni si sono intervallati nella formazione del complesso più di 50 musicisti a causa della continua persecuzione politica che ha portato all’arresto di molti di loro e al divieto assoluto di esibirsi.

Solo un anno dopo il concerto di Istanbul del 2012, seguito da migliaia di persone, la versione di Bella Ciao del Grup Yorum risuonava infatti nelle proteste di Gezi Park, inizialmente volte a impedire la demolizione del piccolo spazio verde di piazza Taksim. La brutale reazione della polizia fu tale da trasformare la protesta in una sollevazione contro lo stesso governo. I violenti scontri e le centinaia di feriti divisero l’opinione pubblica tra i sostenitori e gli oppositori del “nuovo Sultano” e del suo partito.

Ormai è rimasto solo l’eco delle loro voci inascoltate. Ma ce n’è una flebile che ancora resiste.

È quella Ibrahim Gökçek, bassista della band, in condizioni disperate con oltre 300 giorni di sciopero della fame alle spalle. Al funerale di Helin, ridotto sulla sedia a rotelle, il musicista ha accarezzato con la mano ormai scheletrica il capo della compagna di battaglia e ne ha ribadito con forza la denuncia: “Oggi una musicista, una cantante del popolo, è morta per poter esprimere la sua arte. Lei è morta, ora morirò io. Assassini! Siete soddisfatti? Qualunque cosa facciate, prima o poi la vittoria sarà nostra. La vittoria sarà con Grup Yorum!”.

 

Una delle tante chitarre andate distrutte nelle ripetute incursioni della polizia nel centro culturale İdil, sede della band, era stata simbolicamente donata a Joan Baez che nel 2015 partecipò al concerto del Grup Yorum esibendo lo strumento spezzato e invitando gli spettatori a ricomporne i pezzi “con amore, gentilezza e non violenza”.

Un piccolo segno di speranza poiché, come proclamava una delle loro canzoni:

Abbiamo un cuore per la vittoria.

Questo amore, che aumenta quando lo condividiamo,

è il nostro onore, giustizia, questo amore, la nostra lotta.”

A cura di Beatrice Marsili

p.s. E Grup Yorum infine ha trionfato, ma a quale prezzo?

Sette giorni dopo aver scritto questo articolo e due dopo la revoca da parte del tribunale di Istanbul del divieto per la band di esibirsi, il 7 maggio, Ibrahim Gökçek è morto.

Aveva interrotto il suo sciopero della fame – durato 323 giorni – poche ore dopo l’amara “vittoria politica” sulla tirannia di Erdogan che ha dovuto cedere alle pressioni internazionali.

Ma da qui a luglio, data prevista per il ritorno sul palco di Grup Yorum, nulla di ciò che il governo turco ha concesso può essere dato per scontato.

Emblematico in questo senso è lo stesso addio al musicista. La polizia ha fatto di tutto per evitare un funerale pubblico che ha visto comunque una grande partecipazione. Gas lacrimogeni e proiettili di gomma sulla folla, venti gli arresti e lo stesso corpo di Ibrahim sequestrato è il bilancio dell’ennesimo episodio di repressione. Persino alla moglie Sultan, anche lei componente del complesso attualmente in carcere, è stato impedito di assistere alle esequie e di abbracciare il marito per l’ultima volta.

Se veramente le note di Bella Ciao potranno risuonare nel concerto previsto per luglio, forse il sacrificio di Helen, Mustafa e Ibrahim, “morti per la libertà”, non sarà stato vano.

Ma le altre richieste di Grup Yorum (la liberazione e la cancellazione dalle “liste dei terroristi” dei componenti e dei sostenitori della band, la fine dei processi a loro carico e dei blitz della polizia nel centro culturale di İdil) sono ancora ignorate, e la battaglia continua. Fino a quando? E come?

Scriveva senza alcuna rassegnazione Ibrahim, il 26 aprile, qualche giorno prima di morire: “La battaglia che si sta consumando nel mio corpo si concluderà con la morte? Oppure con la vittoria della vita? Quel che so è che, finché non accetteranno le nostre rivendicazioni, mi aggrapperò alla vita anche in questo cammino verso la morte.

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