RUMORI FUORI SCENA – La naturalezza della farsa

Era novembre precisamente al Piccolo Teatro Strehler, sul cui palco era approdata la geniale commedia nata dall’inventiva di Michael Frayn nel 1982: “Rumori fuori scena”.

“Quando la vita è dolorosa e piena di incertezze non c’è niente di meglio di un bel piatto di buone sardine!”. Sardine che, con o senza piatto, sono il demenziale deus ex machina e la costante dei tre atti di un’opera di cui è difficile descrivere a parole l’irresistibile verve comica.

La regia di Valerio Binasco porta in scena le vicende tragicomiche di una sconclusionata compagnia teatrale alle prese con l’allestimento del suo spettacolo.

Attori dai caratteri stereotipati – tra cui il vecchio alcolizzato giunto alla fine della sua carriera, la giovane attraente ma svampita, il filosofo sempre alla ricerca del senso di ogni battuta – si accalcano sulla scena interpretando altrettanti personaggi “tipo” di una convenzionale commedia americana come la governante, l’evasore fiscale, il ladro imbranato.

Il primo atto si configura come una tormentata prova generale, continuamente interrotta e costellata di errori, dimenticanze e commenti fuori luogo degli attori, e per questo tanto più esilarante agli occhi del pubblico.

Nel secondo atto lo spettatore si ritrova catapultato dietro le quinte e assiste, suo malgrado, a dissapori, gelosie e scenate che influenzano ma, tutto sommato, non fermano la rappresentazione.

Nel terzo atto, la compagnia è irrimediabilmente allo sbaraglio ma the show must go on. Coinvolti emotivamente a tal punto dai loro contrasti e drammi personali, gli attori non riescono più a seguire il copione e trasformano lo spettacolo in una quasi totale improvvisazione.

Messaggio implicito dell’opera metateatrale di Frayn è che una pièce teatrale non è definita meramente dal copione e da ciò che appare sul palcoscenico, ma è soprattutto determinata da un retroscena preciso: il dietro le quinte.

Allo stesso modo “Rumori fuori scena” va ben oltre i limiti della brillante e divertente commedia ma offre dei profondi, seppur latenti, spunti di riflessione.

La genialità dell’autore consiste nella scelta di rappresentare l’errore e di rivelare le dinamiche di una compagnia teatrale, generalmente celate alla vista degli spettatori che possono percepirne solo una parte.

Dalla finzione nella finzione del primo atto, si passa al progressivo intersecarsi della farsa con la realtà, per giungere infine al terzo atto che culmina con un’epifania di autenticità alla quale il pubblico non può fare a meno di credere.

Ed è qui che emerge il dramma umano degli attori, rappresentati non solo in quanto tali, ma soprattutto come uomini e donne in carne ed ossa che sbagliano, soffrono, svengono e si ubriacano.

In questo modo l’aura di sacralità e poesia che circonda il mestiere dell’attore si sgretola e il suo ruolo si riduce banalmente a: «Portare le sardine dentro, portare le sardine fuori… È la farsa. È il teatro. È la vita!» come confessa Llyod, il regista della compagnia fittizia, forse ombra dello stesso Frayn?

Ma a prescindere dall’aspetto drammatico che si può intuire tra uno sketch comico e l’altro, non bisogna pensare che “Rumori fuori scena” sia una tragedia, anzi.

In platea le lacrime scorrono copiose, ma sono provocate dalle irrefrenabili risate. Nessun articolo è in grado di esprimere l’atmosfera carica di comicità spesso demenziale capace di catturare e divertire gli spettatori ininterrottamente ormai da quasi quarant’anni con oltre diecimila repliche solo in Italia.

Emblematico è quanto successe all’attore Sandro De Paoli che svenne in scena durante il secondo atto di una delle rappresentazioni. Ai colleghi che chiedevano se ci fosse un medico in sala, il pubblico rispose con fragorose risate. Furono necessari quasi cinque minuti per capire che non si trattava di uno sketch e perché un dottore andasse a soccorrere il malcapitato sul palcoscenico.

Potrebbe sembrare un aneddoto ma è realtà. Per dirla con le parole di Gigi Proietti: “Benvenuti a teatro. Dove tutto è finto ma niente è falso!”

 

 

A cura di Beatrice Marsili e Annalisa Gurrieri

 

 

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