Nel centenario della nascita di Federico Fellini, a sessant’anni dall’uscita de La dolce vita (1960) e dalla sua anteprima presso il Centro Culturale San Fedele di Milano, il 16 settembre l’Università Cattolica del Sacro Cuore ha aperto i suoi chiostri per una serata in suo onore.
Il cuore della serata è stato un lungo dibattito che ha seguito le orme dello stesso che accolse il film dopo la sua distribuzione nelle sale cinematografiche.
La ricostruzione del caso è stata seguita dalla proiezione del film, in occasione della Milano Movie Week, a cura della Fondazione Ente dello Spettacolo, ed un’introduzione di Massimo Scaglioni, direttore del CeRTA, e monsignor Davide Milani, Presidente della Fondazione.
La dolce vita fu un caso cinematografico che divise la cultura cattolica e si contrappose alla tradizionale cinematografia moralistica e didascalica.
Per la prima volta, il caso è stato ricostruito a partire da una ricerca a cura del Centro di ricerca sulla televisione e gli audiovisivi dell’Università – presentata alla 77esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – grazie alla riscoperta di documenti d’epoca e rari materiali audiovisivi.
La dolce vita non è che l’autentica fucina della mitologia felliniana in cui, come in una tela, i diversi caratteri sono fra loro legati. Privo di una struttura drammaturgica tradizionale, la storia non segue un filo temporale preciso e non vi sono rapporti di causalità.
La trama segue la storia del protagonista, un giornalista di cronaca scandalistica, interpretato da Marcello Mastroianni, fra le strade di Roma, e le sue ambizioni da scrittore. È lui ad incarnare l’uomo del tempo, preda dell’insoddisfazione e dell’inquietudine, divorato dalle passioni, che seduce e si fa sedurre da donne sensuali, ma al tempo stesso nutre un’ansia esistenziale ed un senso di inadeguatezza, riflesso della fragilità umana.
Fino a quel momento, Fellini aveva ritratto in modo romantico la borghesia, che ne La dolce vita diviene il cuore pulsante, piena di caos, passioni, ipocrisie e contraddizioni. Come un rotocalco in pellicola – così lui scrive – l’autore si sofferma sulle storie di un paese che sta ormai cambiando: la fine di un momento storico, l’inizio della società dello spettacolo, l’avvicinarsi della guerra fredda.
Negli archivi vi è ben poco, come ha sottolineato il professor Scaglioni, ma particolarmente rilevante è stata un’intervista del 1964 di Sergio Zavoli al gesuita padre Arpa, amico di Fellini ed esponente del Centro San Fedele. Da questa sono emersi alcuni tratti caratteristici di Fellini, un’ansia esistenziale e un umanesimo profondo che lo rendono una testimonianza inquieta, ma non inquietante, dell’uomo contemporaneo. È dunque questa la chiave di lettura di cui dovremmo servirci per comprendere a fondo ed apprezzare il capolavoro del maestro Fellini.
Fin dalla sua prima proiezione, La dolce vita è stato il cuore di una contesa letteraria, politica e teologica che per lungo tempo contrappose i gesuiti del Centro San Fedele di Milano, in particolare Padre Arpa, affezionato sostenitore di Fellini, ed il Vaticano, che ne mise in dubbio la profondità e moralità.
Questo dibattito ha determinato il cambiamento del modo di pensare la cultura cattolica nel cinema, proprio come osservato da monsignor Davide Milani.
A cura di Laura Laus
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