L’isola delle rose: cosa si nasconde dietro l’incredibile impresa di Giorgio Rosa (II parte)
Cosa ci lascia la storia dell’Isola delle Rose e l’utopia di Giorgio Rosa?
Sicuramente la vicenda ha risollevato questioni etiche e politiche lungamente discusse nel corso dei secoli. Anzitutto si pone la domanda se sia davvero legittimo ciò che è legale, davvero giusto ciò che è valido. Perché l’impresa di Giorgio Rosa, formalmente riconosciuta, si è svolta sotto l’insegna della libertà, non della giustizia. Non a caso una volta fondato il nuovo stato occorreva renderlo ‘stabile’, e dunque sovrano, provvedendo alla creazione di una moneta, alla circolazione di francobolli, all’invenzione di una lingua (l’esperanto), al riconoscimento di cittadinanza e soprattutto alla formazione di un consiglio costituente, composto dai padri fondatori e atto a formulare la sua stessa Costituzione. Così quello che era nato per essere uno Stato Indipendente si colora di un’indipendenza solo apparente, una libertà che lungi dall’essere assoluta, priva di regole, si ritrova a dover fare i conti con una forza, un nuovo potere, nuove norme, sicuramente diverse da quelle di ogni altro Stato, ma comunque vincolanti. Ciò che infatti chiedeva l’ingegnere bolognese al Consiglio d’Europa era il riconoscimento della sua isola alla stregua di uno Stato sovrano.
Questo è dovuto al fatto che il concetto di libertà è, in sé stesso, probabilmente un’utopia, un’ideale a cui l’uomo può aspirare, avvicinarsi, ma non abbracciare appieno. Quella che Giorgio Rosa ci presenta come l’isola della libertà assoluta fallisce in quanto cade in una contraddizione in termini perché l’uomo non può avere a che fare con valori assoluti, sciolti, indipendenti dalla relazione con l’altro. È la sola presenza dell’altro, sia esso un essere umano o uno Stato, che fa cadere la sua possibilità di essere assolutamente libero.
La libertà è allora possibile?
Tante sono state le teorie filosofico-politiche che hanno cercato di rispondere a questa questione, in maniera positiva o negativa. Gustave Thibon, filosofo e scrittore francese, e George Simmel, filosofo e sociologo tedesco, ci aiutano a fare chiarezza in merito a un concetto fra i più astrusi nella storia dell’umanità. Anzitutto ci si potrebbe avvicinare al concetto ideale di libertà sostituendolo con il termine ‘autonomia’, intesa come «realizzazione della libertà». L’uomo autonomo non è l’individuo che si rende indipendente da qualcosa o da qualcuno, ma è colui che nella dipendenza realizza la sua libertà più autentica, la sua autonomia, realizzando sé stesso come persona. Ciò che sostiene Thibon è che il problema dell’autonomia non è dipendere da qualcuno, bensì dipendere da qualcuno che non si ama e che non ci ama, perché diversamente non c’è niente di male nella dipendenza, nella relazione. Ed è solo nella relazione, infatti, che si realizza la vera libertà, quella libertà che ci rende individui, cittadini e, se vogliamo, Stati liberi perché autonomi.
L’esperienza di Giorgio Rosa sembra insegnarci che la libertà è il valore più alto posseduto dall’essere umano, che occorre difendere e per cui vale la pena lottare. Nello stesso tempo, tuttavia, ci lascia anche la consapevolezza che quella libertà è una libertà terrena che risente del legame con gli altri e che si realizza proprio in virtù dell’amore reciproco, quello che Giorgio troverà nelle braccia della moglie Gabriella e degli amici, mentre la libertà ideale, assoluta, rimarrà sempre e per sempre un «sole spento. L’illusione di un momento».
A cura di Beatrice Firinu
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