Baby, spiegami one more time “La Psicologia delle Folle”: come Gustave Le Bon spiegò, nel 1897, i processi mediatici a Britney Spears
Siamo nel 1998 e in America esplode il Sexgate, uno scandalo politico–sessuale che coinvolge il Presidente degli Stati Uniti d’America, Bill Clinton, durante il suo secondo mandato. Il Sexgate passa tra le bocche più rispettabili e accreditate d’America: tra le copertine dei giornali e le news di prim’ordine dei notiziari. Per la prima volta parlare di sesso è più necessario che sconveniente.
Scrive Gustave Le Bon nel suo saggio La Psicologia delle Folle: “Il tempo accumula i numerosi residui delle credenze e dei pensieri, sui quali nascono le idee di un’epoca. Queste non nascono a caso. Le loro radici si abbarbicano lontano nel passato”.
Non è, infatti, un caso che pochi mesi dopo, nel 1999, unaragazzina della Lousiana smette di essere una ragazzina della Lousiana, diventando, con il singolo Baby onemore time, la Britney Spears che conosciamo. Le immagini del videoclip diventano iconiche, danno voce al desiderio di tutte le adolescenti di sentirsi donne, pur restando bambine. Poco dopo, la giovane cantante inizia una relazione con Justin Timberlake e le copertine dei giornali raccontano di un “picture-perfect love”: i duedivengono non solo una coppia famosa, ma un prodotto ed insieme un idolo.
Le parole di Gustave Le Bon, nel 1895, sembravano aver previsto e compreso la vicenda Spears: “Oggi le folle non vogliono più gli dèi che i loro vecchi maestri avevano già rinnegato e infranto”. Esse, infatti, all’affacciarsi del nuovo millennio, cercano nuovi numi che sappiano lasciarsi disarcionare dai loro cavalli di gloria, che accettino di essere dèi, ma dèi dissacrati.
Nel 2002 la storia con Justin Timberlake finisce, e la folla cerca un colpevole. I tabloid danno il via ad un processo mediatico che travolge Britney, moderna Elena di Troia, pubblicamente giustiziata dalle parole dei media, dalle domande durante le interviste: “Hai fatto qualcosa che gli ha causato molto dolore. Cosa hai fatto?” chiede la giornalista Diane Sawyer. Britney Spears, che improvvisamente aveva smesso di essere il sogno americano, perché lo aveva infranto.
Spiega, infatti, Le Bon: “Le folle, non potendo pensare che per immagini, non si lasciano impressionare che dalle immagini. Soltanto quest’ultime le spaventano o le entusiasmano e regolano i loro atti”.
In questo processo mediatico, come nei successivi che l’artista subirà, sono le foto scattate dai paparazzi ad avere un ruolo centrale.
Nel 2006, infatti, a partire dal divorzio da Kevin Federline, con la successiva perdita della custodia dei figli si registra una crescita nella vendita di giornali che hanno in copertina anche solo un minimo passo verso il baratro nel quale Britney Spears si appresta a cadere.
Le immagini che ricoprono i tabloid dal 2006 al 2008 sono immagini semplici, capaci di raggiungere chiunque. Esse consistono spesso in “un’immagine impressionante e precisa, libera da ogni interpretazione accessoria”, raccontano un dolore e un disagio che chiunque è libero di studiare, compiangere, giudicare. In ogni caso questi tre verbi non sono che la coniugazione di un trastullo per le folle.
“La semplicità e l’esagerazione dei sentimenti” della massa“preservano dal dubbio e dall’incertezza” recita un passo di “La Psicologia delle Folle”. Nessun giornalista in questo biennio volle, in effetti, far fronte ad un dubbio che non esisteva nella gente, perché ogni giornalista sa che i perché del dolore non vendono copie, la sofferenza umana basta a sé stessa, “il dolore è eterno, ha una voce e non varia”.
“Per il solo fatto di far parte di una folla, l’uomo discende di parecchi gradi la scala della civiltà. Isolato, sarebbe forse un individuo colto, nella folla è un istintivo, per conseguenza un barbaro. Egli ha la spontaneità, la violenza, la ferocia e anche gli entusiasmi e gli eroismi degli esseri primitivi”, così scesi dal piedistallo della loro presunta civiltà gli uomini hanno fame di immagini, che rappresentino il dolore, che tocchino le loro corde più ancestrali e nascoste.
L’umanità, così come gli individui, esistono per progredire, avanzano fieramente, vantando “le magnifiche sorti progressive”, ma spesso quando non si trovano soli dimenticano tutti quei passi che hanno compiuto nel progresso, nella libertà, nella ricerca e riscoprono in sé dei fanciullini malvagi capaci solamente di puntare il dito quando gli altri cadono.
Siamo nel 1999 e una ragazzina della Louisiana smette di essere una ragazzina della Louisiana e diventa un idolo, un sogno americano, un’immagine, poi s’infrange poco per volta, inghiottita dalla stessa folla che aveva nutrito il suo mito. Non una folla di barbari, ma di uomini colti, nelle cui librerie avremmo potuto trovare un volume de “La psicologia delle folle” di Le Bon che quasi certamente avevano dimenticato.
A cura di Angela Macheda
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