Mercoledì 24 novembre si è tenuta la prima di tre conferenze sul tema dell’Afghanistan, “In terra afgana”, dal titolo “Assetti socio-politici in Afghanistan. Una fotografia della cultura arabo-islamica”, con ospite Martino Diez, professore associato di lingua e letteratura araba della Facoltà di Scienze Linguistiche e Letterature straniere del nostro Ateneo.
L’obiettivo della conferenza era approfondire il tema dell’Afghanistan, riconosciuto come il paese più povero dell’Oriente moderno dal punto di vista socio-culturale e istituzionale. La situazione umanitaria e socio-economica in Afghanistan è sull’orlo del collasso, il paese è tornato dopo vent’anni di guerra in mano ai talebani e il presidente Ashraf Ghani è fuggito. L’avanzata e la presa di potere delle milizie islamiche hanno determinato un ulteriore recesso dal punto di vista socio-culturale per la popolazione, soprattutto per le donne.
I diritti delle donne sono stati spesso ostacolati da regimi integralisti ma nel corso degli ultimi anni si è verificato un cambiamento significativo e positivo. In particolare dopo il 2001, con la caduta del regime islamico (che aveva imposto terribili limitazioni ai danni della popolazione femminile), si è arrivati quasi a parlare di una “spinta occidentalizzante”, accolta in maniera positiva da tale strato sociale a lungo oppresso.
Non sono tuttavia mancate di certo le spinte opposte e sovversive da parte di coloro che si trovano a condividere e appoggiare gli ideali integralisti. Con il ritorno dei talebani l’autonomia e i diritti umani delle donne sono ai minimi storici.
Diverse sono state le dichiarazioni a scopo propagandistico e totalmente fedifraghe rilasciate dai talebani, tra cui quella di voler inserire all’interno del proprio governo quote rosa o di consentire alle donne l’accesso a studi universitari. Nessuna delle promesse fatte si è realizzata e di fatto le restrizioni sono aumentate così come gli atti persecutori. Ben note anche mediaticamente parlando sono le ripercussioni sulle giovani donne che non indossano il burqa.
A portare esempi concreti di queste azioni violente e repressive nei confronti di tentativi di emancipazione femminile è il presidente e fondatore della fondazione Pangea Onlus, Luca Lo Presti, che è stato nostro ospite nel corso della seconda conferenza di lunedì 29 novembre, dal titolo “Emergenza Afghanistan. Una “P” di salvezza per le donne”.
Pangea è un’organizzazione no profit, fondata proprio da Lo Presti nel 2002, che si occupa di diritti umani e delle donne ed opera in Italia, Afghanistan e India. Pangea, così come molte altre organizzazioni in terra afgana, è stata presa di mira dai talebani perché si prodiga per la salvezza e la tutela delle donne.
Per esempio, diverse sono state le intercettazioni che di recente hanno portato alla scoperta della morte di quattro ragazze, che dovevano essere trasferite per la loro sicurezza altrove in accordo con l’organizzazione stessa. “Le donne nelle case protette di fatto hanno una taglia sulla testa” sostiene Luca Lo Presti, che in più occasioni ha temuto non solo per l’incolumità delle donne nascoste ma anche per i suoi stessi collaboratori.
Argomento della terza conferenza dal titolo “Cuori a Kabul. Poesie per l’Afghanistan e per Emergency” è stata invece la presentazione della raccolta di poesie omonime a cura di Pietro Fratta, tra gli ospiti insieme alla scrittrice e giornalista Eleonora Molisani e alla poetessa Monia Moroni. Il ricavato del libro andrà interamente a Emergency, associazione umanitaria italiana, fondata nel maggio del 1994 da Gino Strada e dalla moglie. Il fine della raccolta è quello di opporre ai “toni monocromi della guerra” le sfumature della poesia, che è universalmente riconosciuta come mezzo di alta espressione e comunicazione di sensazioni. Diversi sono i poeti e le poetesse che hanno aderito a questo progetto e hanno scelto, per quanto possibile, di provare a immedesimarsi in una realtà tanto lontana e discorde dalla nostra per restituirci un quadro di umanità, perché – come dice la Molisani in una delle sue poesie – “di fatto la guerra è tutto meno che fotogenica”. Forte è anche l’immagine di donna svilita e oggettificata resa nella sua poesia “Lo stupro”: “divento donna a dieci anni per volontà del suo sguardo”. O ancora: “Comincio a essere donna quando il suo sguardo predatore si poggia per la prima volta sul mio corpo acerbo duttile inerme.” Frasi forti e ai limiti del moralmente ed eticamente raccapricciante, eppure questa è la realtà di molte giovani donne e bambine costrette a sposarsi e a soggiacere alle norme domestiche imposte dalla consuetudine e dalla società maschilista e patriarcale propria dell’Afghanistan. Concludo con una frase di incoraggiamento e se vogliamo anche di invito alla presa di consapevolezza, scritta da Susanna Camusso nell’introduzione alla raccolta: “l’incerto 2021 e il mondo interdipendente ci insegnano che isolare la parte fortunata del mondo non è la soluzione: i virus, le guerre e la povertà non hanno confini.”.
A cura di Branchi Francesca
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