Musica e gender equality: il ruolo femminile nell’industria musicale italiana
Ogni anno, nel mese di novembre, si svolge a Milano la Milano Music Week, una settimana di concerti, incontri e webinar il cui centro è la musica, in tutte le sue sfaccettature. L’edizione del 2021 è stata particolarmente significativa, perché ha rappresentato una rinascita a seguito della pandemia; mentre l’edizione del 2020 era stata esclusivamente digitale, l’ultima ha riportato la musica nei luoghi fisici, permettendo un ritorno da un’amplificazione e virtualizzazione del mondo reale.
Tra le iniziative proposte in quest’occasione, è di rilievo l’incontro organizzato da Spotify, dal titolo “Musica e gender equality: Spotify svela a che punto siamo”. Tra i protagonisti la celebre cantautrice Annalisa, la direttrice di Spotify Federica Tremolada, il direttore della FIMI Enzo Mazza e il discografico Dario Giovannini, uniti per far luce sulla problematica della differenza di genere nell’industria musicale internazionale, che si riflette nella piattaforma di Spotify.
Dai dati raccolti negli ultimi anni risulta in netta minoranza la componente femminile in rapporto al totale degli artisti presenti nelle classifiche ufficiali della musica in Italia: soltanto il 14% delle classifiche è composto da donne, in confronto al 58% di uomini e al 28% di band. Risulta inoltre che il tempo impiegato da una donna italiana per farsi strada nel mondo della musica sia maggiore rispetto a quello di un connazionale uomo e soprattutto rispetto a quello delle colleghe internazionali: l’artista italiana ha un’età media di 37 anni, 3 in più degli uomini italiani e 8 in più delle artiste straniere.
Indubbiamente la causa profonda di tale divario consiste nei pregiudizi che si sono sedimentati nel tempo, prima fra tutte la considerazione che alcuni generi musicali siano prerogativa maschile – come nel caso del rap e del trap – unita all’idea che le donne “costino troppo” dovendo curare la loro immagine anche con “trucco e parrucco”. Le donne sono inoltre soggette a continui giudizi sui media che fanno leva sull’aspetto fisico, mettendo in secondo piano il talento dell’artista.
Un dato risulta rincuorante: per effetto della pandemia globale lo streaming è prevalso sull’acquisto di brani e dischi e di conseguenza l’ascolto è diventato per tutti più immediato; il fenomeno ha mostrato una iniziale riduzione del divario, in particolare per le nuove generazioni, per cui sempre più giovani artiste si legano a quei generi un tempo prerogativa maschile. Spotify sta contribuendo a questo cambiamento tramite la creazione di playlist in cui le artiste donne sono in copertina, in modo tale da promuoverle.
Particolarmente efficace è stato il commento in merito di Annalisa, cantautrice italiana di 36 anni, che prova ogni giorno in prima persona cosa significhi farsi strada tra i pregiudizi e farsi riconoscere grazie al proprio talento. Sulla base alla propria esperienza, una donna impiega di più a ottenere credibilità e a convincere che non è solo una “cantante” nel senso letterale del termine, a causa di un retaggio culturale difficile da stravolgere. D’altro lato, ha affermato, che questa fatica è minore nel momento in cui l’interlocutore è un artista più giovane, a dimostrazione del fatto che i pregiudizi sono destinati via via a venire meno, lasciando spazio all’uguaglianza tanto attesa.
Il consiglio rivolto alle colleghe è stato quello di non porsi limiti, favorendo invece l’istinto e il talento che sono quindi gli elementi destinati a vincere contro ogni tipo di pregiudizio e ostacolo.
A cura di Chiara Macola
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