I cantastorie mi hanno sempre affascinato perché raccontano di qualcuno o qualcosa, altro da me, il mistero e le opportunità di crescita.
Ma, in Pablo, c’era qualcosa di diverso, superiore.
La prima volta che l’ho ascoltata capii che eravamo legate da un filo sottile eppure tanto profondo. Quell’ultima frase, ripetuta con insistenza, celava qualcosa.
Il background era estremo e bieco, d’emigrazione e sfruttamento. Ma, in senso lato, quelle sei parole affermavano ciò che, solo dopo tanto tempo, ho riconosciuto essere uno dei concetti cardine della mia vita.
La fine di Pablo, in realtà, non era che un inizio più grande.
Solo dopo la morte Pablo poteva finalmente vivere per sempre, un po’ come accadeva agli eroi dell’antichità.
Io mi sentivo Pablo e, con lui De Gregori, che di Pablo raccontava.
Mi appartiene la filosofia secondo cui per essere felici bisogna soffrire, guidati dall’ottica del pathei mathos: sono chi ama vincere, solo dopo aver perso.
Le difficoltà rendono l’esistenza degna di essere vissuta, senza risultare mai troppo banali. Gli ostacoli affrontati hanno il merito di essere elogi e plausi a Pablo, in un testo che lo renderà immortale.
È questa la chiave che consente al cantautore di cambiare il secondo ritornello dal primo, narrando che Pablo viene ammazzato, dopo essere stato pagato, pensando al “suo gallo o alla moglie ingrassata”. Pablo è sereno, aveva fatto bene a partire, seppur con una valigia “tenuta insieme solo da un po’ di amore e di rancore”, perché, nella strada che ancora aveva da fare, c’era scritto che avrebbe dovuto incontrare ancora Pablo, uno spagnolo con cui inizialmente non riusciva a capirsi per via delle differenze linguistiche, ma col quale arriva a condividere persino il fumo.
Pablo è un inno alla vita e ai valori umani.
Aderendo ad una visione sotadico- fatalista, questo è un sentimento misto tra passato e presente, che evoca nostalgia, ma soprattutto speranza nel futuro che verrà, come profetizzava Giacomo Leopardi, uno dei più grandi poeti italiani, la teoria della “social catena”, o ancora, citando Caterina Caselli: “non sarà facile ma sai, si muore un po’ per poter vivere”.
A cura di Federica Tarantino
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