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Génie la matta

«Avevo sempre voglia di dirle che la stavo aspettando, che ero così felice, così felice che fosse tornata anche quella sera, che le volevo bene. Ma il suo viso era pieno di silenzio.»

Così Marie, bambina nata da uno stupro, parla di sua mamma Génie che la comunità (dalla quale sono state    escluse entrambe) chiama sempre Génie la matta. Costretta a fare i lavori più ardui nelle fattorie e campagne, Génie deve mungere le mucche, a volte seppellire i loro vitelli, legare le zampe al maiale ed appenderlo a testa in giù. Riesce a prendersi cura solo dei suoi piedi, lavandoli e togliendo ogni sera con un pezzetto di legno lo sporco rimasto incastrato tra le crepe dei talloni. Tutti i giorni ripete gli stessi gesti in silenzio: beve un caffelatte caldo fissando il fuoco nel camino, dice a Marie di dormire ancora un po’, esce di casa per andare a lavorare e torna molto tardi. Marie aspetta il ritorno della madre. Una volta arrivata Genie si siede di nuovo in silenzio davanti al fuoco. Marie fa di tutto per aiutarla, per non perderla, per dirle, o almeno farle capire, che le vuole bene. L’amore di Marie è assoluto. Soffre in silenzio la mancanza d’affetto da parte della mamma e piange spesso la notte mentre Génie dorme lontano, dall’altra parte del letto.

Il giovedì, quando non deve andare a scuola, spesso la accompagna nei campi e nelle fattorie. Génie le ripete «Torna a casa» o «Non starmi sempre tra i piedi» e Marie obbedisce, ma attenta a non farsi mancare qualche momento per osservarla al lavoro, da lontano, senza farsi vedere. Nelle giornate in cui deve andare a scuola o restare a casa, aspetta Génie con ansia, ha paura di essere abbandonata e, come impazzita, esce dalla porta di casa sicura di averla persa per sempre per poi ritrovarla sulla stessa strada di tutte le sere. Génie le ripete ancora: «Torna a casa».

Nessun bambino riesce mai a consolare veramente i propri genitori. Marie pensa di essersi abituata alla solitudine e al silenzio, pensa di amare il pianto, di non aver bisogno di amici. Ma questo non può essere vero, altrimenti non si racconterebbe le storie da sola in casa, non sognerebbe di avere una mucca di nome Rose e un anatroccolo di nome Benoit con cui formare una piccola famiglia, non si esalterebbe per un libro di botanica, non nominerebbe con rigorosa precisione i fiori e gli alberi che la circondano: ippocastani, salici, cedri. Proprio grazie al silenzio della comunità e di sua madre, Marie ci mostra l’importanza delle parole, anche nella loro assenza. Per trovare un suo posto nel mondo lo crea da sé con l’immaginazione. Ci mostra così l’importanza di altri mondi, che ci servono soprattutto per creare possibilità, per sopravvivere ancora un po’, o magari solo per sopportare quello che facciamo e quello che sentiamo. Quando torna a casa la sera, Marie si arrampica sulle colline delle volpi, si siede tra le sterpaglie giocando con la sabbia, inventa la storia di una volpe e di come la addomesticherebbe. Immagina anche come sarebbe addomesticare i corvi, come insegnare loro a parlare, ad appoggiarsi sulle sue spalle, a volerle bene.

Anche Génie, come Marie, si rivela nelle sue stesse parole. Forse non capiamo fino in fondo i suoi dolori o le sue decisioni, ma cosa certa è che in quei «Torna a casa» o «Va’ a fare i compiti» si nasconde un amore fortissimo e una necessità di proteggere Marie da un mondo crudele. Genie capisce che Marie deve allontanarsi da lei per avere una vita migliore, deve andare via da quel posto, da quella casa che di notte viene circondata da volpi che guaiscono e salici che oscillano al vento e soprattutto deve continuare a studiare. Genie la notte dorme, lontana da Marie, ma certa che quella figlia sia la sua unica fortuna.

Alla storia si alternano racconti della vita di Marie quando ormai è già grande e studia a La Rochelle. Tra queste pagine compare Pierre, un ragazzo incontrato a una fermata del treno, che le promette un futuro incredibile «sulle dolci isole dove crescono i frangipani». Le descrive i luoghi dove andranno a vivere insieme e dichiarandole il suo amore. La storia principale, però, ritorna sempre inevitabilmente con la sua durezza. Il dolore e le domande che pervadono le pagine del romanzo sono irriducibili. Non riusciremo mai a capire fino in fondo, non avremo mai una risposta, ma rimarranno le frasi e i gesti ripetuti, gli ippocastani, i salici, – per sempre rimarranno -, Marie e Génie segnate nei nostri cuori.

La voce di una bambina ormai ragazza ci racconta una storia d’amore, l’amore incondizionato di una figlia che trascende il tempo. Però leggiamo anche la storia di tutti i bambini e della loro infinita immaginazione che non ha mai senso nè limiti e poi finisce sempre per essere la cosa più vicina alla realtà. Con una scrittura diretta ed essenziale, a volte terrificante e dolorosa, incantevole e piena di tenerezza, Inès Cagnati ci regale Génie la matta, un raro capolavoro, finalmente tradotto in italiano dopo molti anni.

A cura di Lidia Colavita

 

 

 

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