“Agiamo con umanità e fermezza: non abbiamo nessuna intenzione di venire meno ai doveri dell’accoglienza, ma in Italia non si entra illegalmente, la selezione non la fanno i trafficanti di esseri umani.”
Queste le parole del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che si è espresso sulla gestione dei flussi migratori in seguito al recente episodio della Ocean Viking. In particolare, l’Italia si è opposta all’arrivo della nave della Ong Sos Méditerranée con a bordo 230 migranti, i quali hanno infine trovato un porto sicuro a Tolone, dove la Ocean Viking ha potuto attraccare. Qui i migranti hanno avuto accesso ad una “zona di attesa internazionale”, nella quale rimarranno fino a quando le richieste d’asilo non saranno esaminate.
Molti sono stati i commenti da parte dei leader internazionali in merito a quanto accaduto, e nella maggior parte dei casi si è parlato di disumanità, in uno scenario che, inoltre, ha visto il nuovo Presidente del Consiglio Giorgia Meloni fare della politica migratoria uno dei punti chiave del suo programma di governo.
Tuttavia, nonostante le tesi principali ruotino attorno alla necessità di combattere l’immigrazione illegale, fomentata anche dalla presenza di navi Ong come pull factor, il nodo principale da sciogliere riguarda la sinergia tra i paesi europei.
Ancora una volta, la crisi migratoria risente fortemente dell’assenza di coesione e di uniformità a livello europeo, poiché gli attori dell’Unione continuano a rivelarsi incapaci di attuare un piano d’azione congiunto.
Sono stati compiuti, senza dubbio, diversi passi in avanti: difatti, la legislazione europea ha consentito un importante allargamento delle categorie di migranti che possono godere di protezione internazionale e di aiuti umanitari in virtù del loro status. Tuttavia, la “fortezza Europa” ha contemporaneamente rafforzato la protezione dei propri confini, adottando aspri criteri di selezione che hanno legato la questione migratoria ad un argomento securitario, per esempio attraverso l’introduzione di strumenti di controllo frontaliero come Frontex.
Proprio il termine “sicurezza” è, infatti, quello che si sente più spesso ripetere da vari esponenti politici, che contribuiscono a delineare e fomentare uno scenario in cui i migranti sono visti come “gli altri”, come “i diversi”, come coloro che potrebbero costituire una minaccia all’identità della nazione, divenendo “beneficiari illegittimi” delle prestazioni di welfare, sottraendo tali risorse ai “proprietari dello Stato”.
Quando sentiamo parlare dell’impellente necessità di riaprire un canale legale delle migrazioni, non tutti pensiamo al fatto che, proprio alla fine del 2021 era stato stabilito un Decreto Flussi per regolare gli ingressi di lavoratori non comunitari in Italia, consentendo l’arrivo di 69700 migranti: tuttavia, le modalità di applicazione l’hanno reso inefficace, tanto in Italia, quanto in altri paesi europei.
Nonostante si pensi comunemente il contrario, non sarà di certo cambiando la legge sull’immigrazione che si riuscirà a cambiare le cose, poiché una delle cause fondamentali risiede, appunto, nella frammentazione e nell’assenza di coesione: in tale scenario, una nuova legge altro non farà se non portare maggiore caos e inquietudine, con una pluralità di approcci da parte dei vari governi che potrebbero essere in forte contrasto fra loro e rendere il panorama attuale ancora più confuso.
L’imperativo fondamentale è quello di riflettere sui valori e gli ideali che vogliamo plasmino l’identità europea, affinché essa sia percepita come unitaria all’interno e all’esterno. In fin dei conti, ad essere messa in discussione è la capacità dell’Europa di costruire una società integrata e competitiva, che possa ritornare ad essere un modello di riferimento a cui guardare, andando oltre le differenze e le barriere.
A cura di Benedetta Vincenti
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