“Ci vogliono zitte ma noi grideremo, ci vogliono ferme e noi ci muoveremo, e se chiederanno noi risponderemo: non una di più e non una di meno.”
Oggi a Milano eravamo più di 30.000 persone tra donne, uomini, bambini, anziani, per la manifestazione contro la violenza sulle donne. Tutti riuniti per fare rumore.
Per fare tutto il rumore che Giulia Cecchettin non ha più potuto fare, per urlare in nome di tutte le nostre sorelle morte ammazzate. Sono state nominate, una ad una, tutte le vittime di femminicidio del 2023, dal primo gennaio a oggi.
Ad oggi, 25 novembre 2023, solo in Italia contiamo 107 femminicidi accertati. Sentirle nominare una ad una mi ha quasi fatto impressione, ha suscitato in me una profonda angoscia e paura ma, più di tutto, una rabbia indescrivibile. Nome, cognome, età, data di morte, nome dell’assassino , arma del delitto, movente (quasi sempre il medesimo).
Trovo che quanto fatto alla manifestazione oggi sia stato giusto e dignitoso.
In questo modo, per quanto emotivamente pesante, si è dato rispetto a tutte quelle donne che fino ad oggi non ne hanno ricevuto, né dai media né da tutti coloro che vorrebbero sminuire l’accaduto con frasi come “non tutti gli uomini”, né da chi cerca di fare inutili distinzioni tra femminicidio e “maschicidio”. Ma sopratutto, si è dato rispetto a delle donne che sono state tradite anzitutto da chi più le avrebbe dovute amare: i loro compagni, i loro padri, i loro figli, i loro fratelli. Tutti uomini che non sono stati educati ad amare, che non sono stati educati al rifiuto. Per loro noi non siamo persone, siamo solo corpi da possedere per poi vantarsi.
Qui la responsabilità non ricade esclusivamente sui genitori, spesso vittime anche loro del patriarcato. Qui la responsabilità è di tutti. A cominciare dallo Stato e dalle autorità. La responsabilità è delle istituzioni che dovrebbero essere un posto sicuro, come le scuole. La responsabilità è anche di tutti coloro ai quali chiediamo aiuto e si voltano dall’altra parte. La responsabilità ricade anche su chi ha gli strumenti socioculturali per capire, ma fa finta di non comprendere. La responsabilità è anche di tutte quelle donne e di tutti quegli uomini che sentono un collega o un amico fare un commento sessista e non intervengono. La responsabilità è di tutte quelle persone che sminuiscono le molestie, verbali o fisiche che siano, dicendo che “esageriamo”.
Non sto parlando di colpa. Nome e cognome di tutti (o quasi) gli assassini, li conosciamo già.
Parlo di responsabilità. Colpa e responsabilità sono due concetti che non necessariamente coincidono. Ognuna di queste donne è rimasta impressa nel mio cuore, che si è fatto via via più pesante al punto che non mi usciva più la voce, non riuscivo a gridare. Ognuna di loro ha impresso un brivido sulla mia pelle.
Brividi che mi scuotono tutt’ora, mentre cerco di scrivere queste parole, senz’altro insufficienti e riduttive per esprimere quello che sento, ma quanto mai necessarie.
Vogliono che ci stiamo zitte. Che abbassiamo la testa. Vogliono che abbiamo paura. Vogliono farci provare vergogna. Invece noi, per Giulia e per tutte le nostre sorelle, non staremo più zitte, per Giulia e per tutte le altre donne noi bruceremo tutto.
Cosa provo? Provo innanzitutto dolore. Dolore per tutte le vite strappate, per tutte le sofferenze inferte, per tutti i massacri e le torture. Per tutti i ricatti emotivi e gli abusi psicologici. Provo dolore per le ossa spezzate, le gole sgozzate, le coltellate, i pugni, i proiettili, i colpi di accetta. Provo dolore per Stefania Rota, uccisa a maggio con un batticarne da suo cugino Ivano Perico. Questo siamo per loro: carne.
Provo dolore per tutti i volti sfregiati dall’acido, per tutte le mie sorelle bruciate vive. Provo dolore per tutte le molestie, per tutti gli stupri, per tutti gli insulti, per tutti i soprusi che abbiamo vissuto e che viviamo giorno dopo giorno.
Ma più di tutto, sono arrabbiata. Sono arrabbiata con questa società patriarcale che ci ha abituate al dolore, sono arrabbiata con chi non vuole aprire gli occhi sulla situazione che stiamo vivendo. Sono arrabbiata con gli uomini e le donne che sentono la necessità di commentare i nostri corpi, i nostri vestiti, i nostri visi, le nostre scelte, le nostre vite. E sono arrabbiata con tutti quegli uomini e donne che non vogliono combattere una lotta necessaria come quella contro il patriarcato.
Ogni uomo deve assumersi la propria responsabilità nella piramide patriarcale che ci governa. E il femminicidio è un omicidio di Stato.
Ora voglio rivolgere un pensiero a Giulia.
Giulia, non ci conosciamo, ma la tua morte ci ha colpiti in un modo che non credevamo possibile. Forse perché siamo coetanee e non vivevamo vite poi così diverse. Forse perché chi ha deciso di strapparti da questo mondo, è anch’egli un nostro coetaneo. O forse perché riusciamo a immaginare l’emozione che provavi nei giorni prima della tua laurea, il momento in cui tutti i tuoi sforzi si sarebbero concretizzati in un titolo che non ti è stata data la possibilità di ricevere. Sei stata picchiata brutalmente e sei stata accoltellata 26 volte. Perché sei donna, perché lo hai rifiutato, perché eri più brava di lui, perché ti stavi realizzando. Hai sofferto 22 minuti di agonia, uno per ogni tuo anno di vita.
Nessuno merita questo. Sei un’anima speciale: questo, grazie alla tua famiglia, lo abbiamo capito tutti. Sei per tutti noi una sorella, una cugina, una figlia, un’amica. Non lasceremo che la tua morte sia vana. Non lasceremo che rimbombi con tutte le altre nel vuoto.
Giulia, per te noi bruceremo tutto.
Rest in power.
Montenero Martina Antonia
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