Il concetto di intelligenza artificiale (AI) nasce anni fa quando, con l’aumento della potenza di calcolo dei computer, ci si iniziò a chiedere se questi potessero sviluppare delle “decisioni proprie”.
Oggi, senza neanche accorgercene, l’AI è entrata nel nostro quotidiano: si pensi ai vari strumenti di riconoscimento vocale che vengono utilizzati dagli smartphone e dai sistemi di sicurezza.
Ma ciò che più sorprende è il modo in cui l’AI può aiutarci nella prevenzione di malattie e anche nel salvare delle vite. Ecco quattro malattie che, in futuro, potranno essere un lontano ricordo grazie alle tecnologie AI: l’infarto; la psicosi e la schizofrenia; il tumore al seno; infine, il diabete.
Durante gli ultimi anni l’AI è stata utilizzata anche nella contrasto alle pandemie. Nel periodo di diffusione del Covid-19, l’Intelligenza artificiale è stata adoperata per la diagnosi del virus e la predisposizione del picco di infezioni fino ad arrivare all’analisi dei vaccini più promettenti.
Negli Stati Uniti l’AI ha fornito “insights” sullo stato della pandemia, grazie ai quali i vari capi di governo hanno avuto l’opportunità di prendere le decisioni migliori.
Pertanto, l’AI non rimane più una sola e lontana ipotesi, bensì una realtà di fatto.
Sicuramente l’intelligenza artificiale aiuta a migliorare la qualità del lavoro, soprattutto nel settore della medicina e della ricerca scientifica. Ma allo stesso tempo, a preoccupare è il rischio di eliminazione di un numero indefinito di posti di lavoro.
Da qui la necessità di elaborare metodi e linee guida per garantire che l’AI aiuti e non sostituisca chi lavora, migliorandone le condizioni e le prospettive di crescita.
Inoltre, la crescente dipendenza da questa forma di tecnologie può portare allo sviluppo di una minore capacità di pensiero critico, aumentando il rischio di disinformazione e polarizzazione e, per far fronte a queste sfide, è fondamentale sviluppare e rafforzare un rapporto con l’AI generativa.
Occorre, quindi, mettere in discussione i risultati generati dall’AI, riconoscendone i possibili limiti ed essendo consapevoli dei potenziali pregiudizi degli algoritmi.
Di conseguenza, dovrebbe essere l’assioma “fidarsi ma verificare” a guidare le interazioni con l’AI. Solo valutando, elaborando e contestualizzando, gli individui potranno prendere decisioni più informate.
Questa sarà una sfida non facile, ma che l’uomo dovrà vincere per poter conservare la sua centralità e non rinunciare mai al suo pensiero critico.
A cura di
Francesca Gallo
Comincia la discussione