Per ALLEVIare il dolore
Il nostro è un tempo che ama la fretta, la velocità, un tempo che non contempla gli errori e che esige,
ricerca, pretende la perfezione.
Poi una sera qualunque sullo schermo fa la sua comparsa un uomo vestito di nero, con un cappellino,
visibilmente provato, ma che sorride ed è lì per raccontarci cosa sia il dolore.
È un musicista che non suona da due anni e che qualche mese fa probabilmente non avrebbe nemmeno
immaginato di poter essere su quel palco con un pianoforte.
All’improvviso mi è crollato tutto – Giovanni Allevi esordisce così, qualche ricciolo scappa via dal cappello,
l’emozione a volte rompe la voce, mentre noi siamo lì, attoniti, ad ascoltarlo e per un attimo, forse, il
mondo si ferma.
Proviamo pietà? Abbiamo paura? Ci dispiace?
Eppure lui non è lì per parlare degli aspetti negativi della malattia. Da quel palco vuole parlare degli
“inaspettati doni” del dolore.
Racconta di come in uno dei suoi ultimi concerti, quando ancora il dolore non aveva bussato alla sua porta,
la sua attenzione sia stata attirata dall’unica sedia vuota in una sala gremita di gente. È uno strano gioco
della mente, facciamo tutti così: ci concentriamo sempre sull’unica cosa che manca e non facciamo mai
caso a tutto quello che abbiamo già. Poi è arrivato il mieloma multiplo e gli ha insegnato che “i numeri” non
hanno nessun valore e che la felicità sta solo in ciò che si fa.
Il dolore relativizza tutto, il giudizio degli altri, le aspettative e al contempo amplifica la gratitudine e amplia
i nostri orizzonti; eppure il dolore è qualcosa di negativo, come può insegnare?
È un concetto che il nostro tempo ha forse dimenticato, ma che tanto era caro alla cultura greca: πάθει
μάθος, “apprendimento attraverso il dolore”.
È stata questa una delle più grandi scoperte del tragediografo Eschilo che nei suoi drammi dimostrava come
il dolore servisse agli uomini per imparare a conoscere sé stessi, perché è solo quando tocca il fondo che
l’uomo comprende quali siano i suoi confini.
Nel monologo di Giovanni Allevi questi confini sono apparsi così nitidi da lasciare tutti, almeno per una
volta, senza parole.
Ha esitato un po’prima di lasciarli liberi, poi tutti i riccioli sono usciti fuori da quel cappellino: quanto è
liberatorio poter essere sé stessi.
Quanto fa paura mettersi a nudo? Quanto è difficile mostrare le proprie debolezze, senza temere che ci sta
di fronte colpisca proprio lì?
Tra i mille pensieri, timori, inquietudini che ci tormentano ogni giorno, alla fine, “quando resta in piedi solo
l’essenziale” si capisce che l’unica cosa che conta è riuscire a essere chi siamo davvero. Non è una
competizione, non c’è nessun giudice, ci siamo solo noi, ogni giorno della nostra vita.
Grazie Giovanni per avercelo ricordato.
A cura di Irene Pasanisi